NAPOLI – «A Bersani, che bene ha fatto a venire sul bene confiscato a Iovine, e a tutti gli altri candidati alle primarie del centro sinistra chiedo cosa si intenda fare per la valorizzazione del patrimonio sottratto ai clan. Perché oggi servono risposte concrete a fronte di una situazione di sostanziale e grave immobilismo su questo tema» lo afferma il consigliere del PD Antonio Amato che è stato a Villa di Briano per l’incontro col segretario nazionale dei democratici.

«Da Presidente della Commissione Regionale sui Beni Confiscati ho constatato in questi ultimi mesi un sostanziale stallo, evidente, ad esempio, a fronte della situazione in cui versa l’Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati, braccio operativo di cui si è dotato lo Stato per colpire le mafie nel cuore dei loro interessi finanziari, e che ha giustamente aperto sedi periferiche a Milano, Palermo, e anche Napoli. Eppure la sede napoletana, insediata in un’ala di Castel Capuano appositamente restaurata, pur operativa da mesi, non è mai stata inaugurata. Il Ministro Cancellieri, più volte in questi mesi a Napoli, non ha mai ritenuto opportuno fare della sede dell’Agenzia il fulcro di un’attività che pure si ritiene determinante, perché? Perché ancora andando alla sede dell’Agenzia si avverte lo sconforto di un organismo in evidente sottorganico, sistemato con qualche scrivania invasa dalle carte chè manca pure un archivio, con un unico fax e pochi computer, senza nemmeno delle semplici targhette che ne indichino la presenza? E che sarà di questo organismo a dicembre, quando i pochissimi operatori lì distaccati da altri enti pubblici vedranno scadere i loro contratti? E poi» continua il consigliere regionale dei democratici «è necessario un impegno concreto per superare le storture determinate dalla nuova normativa antimafia che pone ulteriori gravi difficoltà agli enti territoriali cui i beni confiscati sono destinati e, soprattutto, ostacola più che agevolare la reimmissione nel mercato legale delle aziende sottratte ai clan, oggi destinate, per la quasi totalità, al fallimento. Cosa si vuole fare allora sul tema delle aziende? E ancora come si intendono sostenere quelle esperienze di economia sociale nate sui beni confiscati e che ormai in realtà come il casertano sono una consolidata realtà di sviluppo territoriale? E’ il caso di ribadire» conclude Amato «che a fronte di un bene confiscato non utilizzato o addirittura trasformato in discarica come a Ferrandelle, a fronte di un’azienda che viene portata al fallimento con la conseguente perdita di posti di lavoro e capacità produttiva, lo Stato, nei confronti della camorra, perde due volte, e allora l’aggressione ai beni e ai capitali del crimine organizzato resta poco più di un insieme di cifre e stime che rischiano di incidere poco nella lotta al crimine organizzato»

 

 

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