Il cassiere di Berlusconi e la moglie sequestrati in casa per 11 ore da una banda guidata da un pregiudicato barese con le scarpe rossonere, un fantomatico cd contenente filmati sul presidente della Camera Gianfranco Fini, ‘carte’ sul Lodo Mondadori che al Cav “avrebbero fatto molto piacere”, una richiesta di riscatto di 35 milioni – di cui otto potrebbero essere stati pagati – il sequestrato che, appena libero, non corre a fare la denuncia ma va ad Arcore.
Sono le otto di mattina quando esplode il giallo del sequestro di Giuseppe Spinelli, l’uomo che pagava le Olgettine e che, soprattutto, è uno dei più fidati collaboratori del Cavaliere. La polizia arresta sei persone, tre italiani e tre albanesi su disposizione del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Paolo Storari: per tutti l’accusa è sequestro a scopo di estorsione. A capo della banda c’è Francesco Leone, una carriera criminale iniziata nel 1982, un passato da ‘pentito’, l’uomo dalle scarpe rossonere: il suo Dna è stato trovato dagli investigatori su un tappo di bottiglia nel salotto di Spinelli.
Potrebbe essere proprio Leone, nell’interrogatorio di garanzia fissato per mercoledì, a spiegare quelli che sono i punti ancora oscuri della vicenda. Primo tra tutti il fatto che il sequestro risale alla notte tra il 15 e il 16 ottobre, ma la segnalazione alla magistratura arriva nel pomeriggio del 17: prima Spinelli va ad Arcore da solo, poi viene prelevato dalla scorta di Berlusconi per raggiungere una ‘località segreta’. Perché tutto questo ritardo? Cosa è accaduto dalla liberazione dei coniugi, alle 9 del 16 ottobre, fino al pomeriggio del 17? Secondo il racconto messo a verbale dallo stesso Spinelli e dalla moglie, il sequestro è scattato attorno alle 21.45 del 15 ottobre: di ritorno dal consueto appuntamento ad Arcore, il ragioniere è stato aggredito sul pianerottolo di casa e spintonato all’interno dell’appartamento da due uomini armati che sono apparsi appena la moglie ha aperto la porta. Una volta all’interno i due sequestratori hanno però immediatamente chiarito che non si trattava di una rapina e che non sarebbe stato torto loro un capello tanto che a Spinelli e alla moglie è stato concesso anche di andare a letto a riposare: uno di loro – ha raccontato la donna – “addirittura ha coperto me e mio marito con una coperta”.
A spiegare a Spinelli i motivi del sequestro è stato Leone, il ‘terzo uomo’, arrivato nell’abitazione verso le 2 di notte: 35 milioni in cambio di carte utili a Berlusconi sul Lodo Mondadori e di un filmato in cui sarebbe stato ripreso Gianfranco Fini a colloquio con i giudici del lodo Mondadori, ai quali avrebbe chiesto aiuto “per mettere in difficoltà” il Cavaliere. “Una barzelletta”, ha commentato il portavoce di Fini, “ridicolo”, ha detto Carlo De Benedetti, presidente onorario di Cir. Vero o no, lo diranno le indagini: al momento gli investigatori hanno sequestrato pc, dvd e una serie di supporti informatici che verranno analizzati nei prossimi giorni. Quel che è certo, però, è che la mattina del 16 ottobre i sequestratori ottengono che il ragioniere Spinelli chiami Berlusconi, gli racconti dei documenti e del filmato di Fini e gli annunci la loro disponibilità a venderli per 35 milioni. L’ex premier deve aver capito che la cosa era seria perché dice a Spinelli che avrebbe annullato gli impegni a Roma e lo invita a chiamare Ghedini.
Ed è l’avvocato-parlamentare a dire che non se ne fa nulla finché non si verifica l’autenticità del materiale. “Ghedini mi ribadì – racconta Spinelli – che…prima di pagare qualsiasi cifra bisognava essere assolutamente sicuri”. “Non avevano in mano nulla”, dice oggi Ghedini. Ma Spinelli fornisce un altro elemento che dovrà essere chiarito e che potrebbe aver a che fare con il presunto riscatto ipotizzato, scrive il pm, “in un momento successivo al rilascio degli ostaggi ma non monitorato”. “Ero quasi riuscito – mette a verbale il cassiere – a convincere Ghedini a dare un piccolo anticipo in denaro e poi successivamente fare un contratto”. E’ stato dato questo “anticipo?”.
Quella del riscatto, scrive il gip nell’ordinanza, “è una ricostruzione possibile, come è anche possibile che il denaro” di cui parlano gli arrestati nelle intercettazioni, “sia riconducibile ad altri affari illeciti” di Leone. Nell’ordinanza d’arresto viene anche quantificata la “cifra in gioco” e cioè quanto potrebbe esser stato pagato: 8 milioni. Di questi soldi, però, al momento non c’è traccia: gli investigatori hanno infatti aperto oggi le tre cassette di sicurezza intestate ad uno degli arrestati – una al Credito Valtellinese e due al Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate – ma non avrebbero trovato elementi che consentano “immediati sviluppi” delle indagini.
Nonostante i ritardi nella denuncia, gli investigatori riescono a rintracciare la banda di sequestratori – oltre a Leone tre albanesi, Ilirjan Tanko, Laurenc Tanko e Marjus Anuta, e due italiani, Alessio Maier e Pierluigi Tranquilli – e a scoprire che il ‘pedinamento’ di Spinelli era cominciato almeno a giugno 2012. Grazie a due telefonate che arrivano nel pomeriggio del 15 ottobre a casa di Spinelli: quelle chiamate partono da una cabina telefonica nei pressi della stazione di Malnate, in provincia di Varese, dove le telecamere registrano le immagini di due uomini, uno dei quali con le scarpe rossonere. L’analisi delle celle telefoniche e le successive intercettazioni consentono di risalire a ruoli e componenti della banda: Leone è il capo, che un mese dopo il sequestro chiede per telefono a Alessio Maier, il titolare delle cassette di sicurezza, “addove li mettimmo i soldi?”.