Non e’ punibile l’uso di anabolizzanti per il semplice culto dei muscoli. Lo ha stabilito la Cassazione, annullando “perche’ il fatto non costituisce reato”, una condanna per ricettazione di farmaci dopanti (5 mesi) nei confronti di tre sportivi abruzzesi accomunati da un esasperato culto del corpo.
Secondo la Suprema Corte, non e’ punibile chi fa uso di sostanze anabolizzanti per “modificare il proprio aspetto fisico” senza avere in testa di modificare risultati agonistici. Nel caso in questione, poi, annota ancora la Seconda sezione penale, “e’ stato escluso che gli imputati avesero fatto uso delle sostanze anabolizzanti, che si erano procurate attraverso un circuito illegale, al fine di alterare prestazioni agonistiche”. In pratica, osserva ancora la Cassazione, se non c’e’ un “fine di profitto sportivo collegato alla partecipazione a manifestazioni agonistiche, competizioni o altro”, lo sportivo che fa uso di queste sostanze non puo’ essere sanzionato. “L’unico fine perseguito” dai tre sportivi in questione (Fabrizio B. Sergio M. e Vito M.) “consisteva nella volonta’ di modificare il proprio aspetto fisico, anche a costo di assumere sostanze tossiche, palesemente dannose per la salute e il loro benesseere psico-fisico”. Diversamente ragionando, spiega ancora la Cassazione, “si arriverebbe al paradosso di considerare dettata dal fine di profitto l’azione di chi si procuri, attraverso un circuito illecito, dei barbiturici allo scopo di suicidarsi. Secondo le norme piu’ elementari della logica, invece, non puo’ essere revocato in dubbio che il suicidio, o altri atti lesivi dell’integrita’ psicofisica, non possano essere condotti alla nozione di utilita’, a meno che le lesioni alla propria integrita’ non siano strumentali ad altri fini che nel caso di specie non susistono”. Ribaltato in questo modo il verdetto della Corte d’appello dell’Aquila dell’aprile scorso.