SAN NICOLA LA STRADA – Dopo l’Imu del 2012, il 2013 ci farà fare la conoscenza di una nuova imposta. Si chiama Tares, tassa sui rifiuti e sui servizi, e prenderà il posto, a partire dal mese di marzo, della Tarsu e della Tia. Ma, soprattutto, costerà di più alle famiglie. Non si tratta di un’iniziativa del governo Monti, ma faceva già parte delle norme previste dal federalismo fiscale introdotto dal governo Berlusconi, ma ha trovato applicazione nel decreto Salva-Italia varato un anno fa.

Secondo fonti sindacali, la Tares finirà per pesare più dell’Imu già versata sulla prima casa: la famiglia “media” che abita nella casa “media” ha pagato 275 euro di Imu, ma ne verserà 305 di Tares, quando la Tarsu si fermava a 225 euro. Ottanta euro, il 37,5% di spesa in più. Se con l’Imu la stangata è stata certa, la Tares del 2013 non sarà da meno. Perché questo aumento? Perché le risorse acquisite grazie alla Tares dovranno far fronte a due esigenze che prima non erano previste nella tassa sui rifiuti: coprire al cento per cento il costo del servizio per le utenze domestiche sostenuto dai Comuni – quando oggi in media la copertura è del 79%, il resto finisce nel bilancio – e finanziare il costo dei “servizi indivisibili” forniti dal sindaco, una serie di voci che vanno dall’illuminazione pubblica, alla manutenzione delle strade, polizia locale, verde. Un indispensabile “extra” che le giunte copriranno imponendo ai cittadini una sovrattassa di 30 centesimi al metro quadro (che potrà arrivare, giunte volendo, anche a 40 centesimi). Secondo i calcoli, queste due aggiunte peseranno in media rispettivamente 53 e 27 euro in più, per un totale appunto di 80 euro di ulteriore spesa. Un maggiore incasso pubblico di 1,9 miliardi che va ad aggiungersi ai 7,6 versati nel 2012. Il nuovo balzello riguarda un pò tutti: è dovuto “da chiunque possieda, occupi e detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”. Non solo i proprietari di casa, quindi, ma anche negozi, uffici, capannoni. Verrà calcolata in base ai metri quadri (l’80% della superficie catastale) senza tener conto del numero di componenti del nucleo. Per le attività commerciali – assicurano le associazioni dei commercianti – l’aggravio medio raggiungerà la quota record del 293 per cento.

 

Nunzio De Pinto

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