Le leggi razziali furono varate nel novembre del 1938, 75 anni fa, con un regio-decreto (XVI, n.1390) a firma di Vittorio Emanuele III ”per grazia di Dio e per volonta’ della nazione re d’Italia e imperatore d’Etiopia” e, in pratica, escludevano dal contesto politico, sociale e amministrativo gli ebrei italiani.

Erano state precedute nel 1936 dal Manifesto degli scienziati razzisti, pubblicato sul Giornale d’Italia il 14 luglio di quell’anno e sottoscritto da 108 “scienziati” e, secondo i diari di Bottai e di Ciano, redatto quasi esclusivamente da Mussolini. Prima del varo delle leggi, nell’ottobre del 1938, ci fu una “Dichiarazione sulla razza” e in seguito uno stillicidio di disposizioni, atti amministrativi, prefettizi, tutti volti a restringere sempre piu’ le maglie della “discriminazione”, ovvero la possibilita’ per alcune categorie di cittadini ebrei di veder mitigate le disposizioni. Il capo I riguardava i MATRIMONI e stabiliva subito all’art.1 la proibizione del matrimonio tra il cittadino italiano di razza ariana con persona appartenente ad altra razza. Se celebrato in contrasto con la legge, era da ritenersi nullo. Oltre a restringere, per gli impiegati dello stato e delle forze armate, la possibilit… di sposarsi con persone di nazionalit… straniera, la legge imponeva all’ufficiale di stato civile di accertare, indipendentemente dalle dichiarazioni delle parti, la razza e lo stato di cittadinanza di entrambi i richiedenti. Il capo II definiva gli APPARTENENTI ALLA RAZZA EBRAICA, che per legge erano: a) i nati da genitori entrambi ebrei, anche se di altra religione; b) i nati da genitore di razza ebraica e da genitore di nazionalita’ straniera; c) i nati da madre ebrea e padre ignoto; d) i nati da un solo genitore di razza ebraica, ma appartenente alla religione ebraica o iscritto alla comunita’ israelitica o che avesse fatto, in qualsiasi altro modo, manifestazione di ebraismo. Non era considerato invece di razza ebraica chi pur essendo nato anche da un solo genitore di razza ebraica apparteneva, al 1 ottobre 1938, a religione diversa. L’ebreo doveva denunziarsi come tale ed era iscritto nei registri dello stato civile e della popolazione, che furono aggiornati con note rosse accanto alle persone dichiarate ebree. I cittadini che, in base a tale legge, erano dichiarati ebrei non potevano: a) prestare servizio militare in pace e in guerra; b) essere tutori o curatori di minori o di incapaci non di razza ebraica; c) essere proprietari, o gestori a qualsiasi titolo, di aziende o esserne direttori, sindaci o amministratori; d) essere proprietari di fabbricati o di e) terreni. Il genitore ebreo poteva essere privato della patria potesta’ dei figli di altra religione e non poteva avere alle proprie dipendenze, in qualita’ di domestici, cittadini italiani di razza ariana. Gli ebrei non potevano essere dipendenti dello stato, del Partito fascista, di Province, Comuni, Istituzioni pubbliche, di aziende municipalizzate, di aziende parastatali, associazioni sindacali, di banche, assicurazioni, ecc. La legge introduceva poi il concetto di “discriminazione”, ossia stabiliva l’esenzione o l’attenuazione dalle disposizioni per alcune categorie di ebrei: tra questi, i componenti delle famiglie di caduti nelle guerre libiche, mondiale, etiopica e spagnola o per cause fasciste; i decorati con croce di guerra; i mutilati, invalidi e feriti per causa fascista, gli iscritti al partito pre marcia o subito dopo, i legionari fiumani. Agli ebrei stranieri era impedito di stabilirsi in Italia, in Libia e nei possedimenti dell’Egeo; si revocavano le cittadinanze italiane concesse a stranieri dopo il primo gennaio 1919.

 

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