Da parte dell’ex ad della Juventus Antonio Giraudo vi fu “piena adesione al progetto criminoso ideato e diretto da Luciano Moggi”. E’ quanto scrive la quarta sezione della Corte di Appello di Napoli nelle motivazioni della sentenza emessa a dicembre scorso quando all’ex dirigente bianconero fu inflitta una condanna a un anno e otto mesi per associazione per delinquere al termine del processo con rito abbreviato di secondo grado di “calciopoli”.
Per i giudici (presidente Maurizio Stanziola, consiglieri Teresa Annunziata e Rosa Molé) “va affermata la penale responsabilità di Giraudo quale mero concorrente nel reato”. La prova della sua adesione al progetto dell’ex dg Moggi – principale imputato del processo e condannato in primo grado – “si fonda sui molteplici elementi”. “La duplice veste di consigliere federale e di dirigente di un club tra i più importanti e blasonati, per storia e prestigio acquisito nelle competizioni – si legge nelle motivazioni della sentenza depositate oggi – , attribuiva all’imputato una particolare visibilità cui si accompagnava un concreto potere decisionale non solo nell’ambito proprio della squadra ma anche nelle questioni e relazioni esterne”. “Ne costituisce riprova – scrivono i giudici – il rilevante ascendente esercitato nei rapporti con il vice della FIGC, ben visibile nell’atteggiamento assunto nei confronti del presidente della Lazio Lotito , del quale decideva proprio assieme a Mazzini l’allontanamento dal gruppo di potere che aveva consentito la riconferma di Carraro; la deferenza manifestatagli in numerose occasioni dallo stesso Mazzini, da Lanese e dal designatore Bergamo ( rilevante è la conversazione di questi con la Fazi a proposito della sua dedizione ai vertici juventini che avevano riposto in lui una fiducia ripagata nei fatti); l’ostracismo subito da Zeman ,anche per suo volere ; la diretta ingerenza nella vicenda di salvataggio della Fiorentina; l’incisività dell’apporto per la nomina dei designatori”. Per i magistrati “un tale potere è stato asservito agli scopi associativi e non vale sostenere che le relazioni dell’uomo rappresentavano la normale estrinsecazione del ruolo rivestito in seno alla società calcistica ed in sede alla federazione giacché nei fatti si è assistito all’indebita commistione della funzione pubblica e privata con consapevole adesione alla realizzazione delle azioni di turbativa”. “Tanto è dimostrato – è scritto nella sentenza – dalla continuità di incontri con i referenti istituzionali nelle occasioni in cui avveniva la condivisa manomissione delle sorti del campionato attraverso la predeterminazione delle griglie arbitrali; dall’apporto decisivo fornito per consentire il salvataggio della Fiorentina; dalla stessa perpetrazione del reato sub Q) che rappresenta la realizzazione dello scopo principale della compagine; dal condiviso intento di allontanare o neutralizzare i soggetti che nelle rispettive qualità frapponevano ostacoli alla realizzazione del progetto. A contrario non assume alcun significato la circostanza che l’imputato non disponesse di un telefono criptato non potendo certamente ritenersi che la prospettazione di accusa di associazione riponga esclusivamente su tale condizione”.