”Alla Buitoni e alla Perugina ho legato tutta la mia vita”: Bruno Buitoni, morto ieri sera a 89 anni, si raccontava cosi’ a Valore, giornale trimestrale di Confindustria Umbria. Ricordando il lavoro in fabbrica con gli operai e il primo stipendio di 23 mila e 700 lire.
Faceva parte di una delle famiglie di industriali piu’ importanti del secolo passato, originaria della Toscana, che aveva scelto Perugia quale ”patria d’elezione”. ”Il nonno Francesco – raccontava Bruno Buitoni a Valore – quando e’ arrivato aveva 18 anni. Noi producevamo a San Sepolcro, ma per vendere i prodotti in Umbria bisognava pagare il dazio, decisero cosi’ di produrre direttamente a Perugia. Abbiamo sempre avuto un legame stretto con Perugia e siamo stati sempre a contatto con la comunita’, nel segno dell’armonia, con le strutture interne ed esterne alla fabbrica”. L’industriale ricordava di essere arrivato nel capoluogo umbro nel 1947 ”fresco di laurea in Scienze economiche a Losanna, convinto di fare l’amministratore”. ”Invece mio zio – aggiungeva – mi mise nelle mani del capo del personale che scrisse ‘seconda categoria’ e il mio primo stipendio fu di 23 mila e 700 lire. Ricordo che quando avevo 5 anni e vivevo a Roma davanti al nostro stabilimento, mio padre, Luigi Buitoni, entro’ in camera mia alle 6.30, era il giorno del mio compleanno. Mi fece alzare in fretta e affacciare alla finestra al cambio del turno in fabbrica, dicendomi: ‘Tu andrai a lavorare con loro per una decina di giorni”’. E cosi’ fu per molti anni durante le vacanze estive. Nell’articolo del trimestrale di Confindustria, l’imprenditore spiegava come la figura che piu’ avesse segnato la sua vita fosse stato lo zio omonimo, Bruno Buitoni scomparso nel 1972. ”Lo zio Bruno – spiegava – esigeva serieta’, era stato maggiore dell’esercito durante la prima guerra mondiale e in lui, insieme alla buona educazione, conviveva il rigore militare, ma quando rideva, rideva di cuore, si trasformava. La sua prima ora di lavoro era dedicata ai dipendenti, facevamo il giro della fabbrica insieme”. ”Le aziende erano condotte bene – raccontava ancora Buitoni riferendosi alle vicende piu’ recenti – e il marchio era forte. L’errore fu di non aver costituito una finanziaria quotata in borsa, come fece la Fiat, sarebbe stato il salto di qualita’. Eravamo in troppi, 13 tra fratelli e cugini e non riuscimmo a trovare l’accordo. Abbiamo dovuto vendere l’azienda – concludeva Bruno Buitoni – a chi l’avrebbe potuta gestire: prima De Benedetti poi la Nestle”’.