Nonostante la necessità di sostenere il governo Letta, il Pd fatica a trovare un segretario dopo le dimissioni di Bersani e in vista del congresso di ottobre. A metà settimana dovrebbe svolgersi un coordinamento per individuare tra i candidati possibili, Gianni Cuperlo e Guglielmo Epifani in primis, una figura di garanzia da presentare al voto dell’assemblea di sabato prossimo. Ma in un momento di tensione e sospetti reciproci, è più facile, come evidenzia Giuseppe Fioroni, che i dirigenti si parlino attraverso i giornali piuttosto che in una riunione.

Per la prima volta dopo l’addio alla guida del Pd, Pier Luigi Bersani, in un’intervista all’Unità, ricostruisce i passaggi che hanno portato il Pd ai limiti dell’implosione sull’elezione del presidente della Repubblica. “Abbiamo mancato la prova più importante”, afferma l’ex leader che non fa mea culpa ma auspica che il suo passo indietro incoraggi “una discussione vera per decidere correzioni profonde: o torniamo a essere un collettivo o non siamo utili al paese”. Eppure sembra che i vizi denunciati da Bersani – “l’irrompere di rivalse, ritorsioni, protagonismi spiccioli” – nella vicenda del Capo dello Stato, rischino di ripetersi anche nella ricerca di un nuovo segretario. L’area dalemiana insiste per l’elezione di Gianni Cuperlo, che é in campo, i bersaniani e molti segretari regionali preferirebbero Guglielmo Epifani, che non è uscito allo scoperto sulle sue intenzioni. Walter Veltroni, e oggi anche Rosy Bindi, non riconoscono nei due candidati una vera figura di garanzia e sono al lavoro per un’altra proposta di mediazione. Molto impegnato per cercare una soluzione è anche Giuseppe Fioroni, che oggi bacchetta Veltroni contrario a un segretario di sinistra per bilanciare un premier ex Dc. “Nello sforzo di trovare il migliore – osserva l’ex Ppi – si bruciano i segretari possibili. Nell’essere contro ex Pci e ex Dc rischiamo di essere ex Pd”. L’ala renziana, invece, spinge per un nome di rinnovamento anche se il sindaco di Firenze per ora resterà alla finestra: “Bersani è andato via – analizza Paolo Gentiloni – ma tutti gli altri sono lì a pretendere di guidare il partito sulla base della strana idea per cui squadra che perde non si cambia”. Divisioni che rischiano, se non risolte nell’assemblea di sabato prossimo, di scaricarsi anche sul governo Letta, già alle prese con il difficile equilibrio di maggioranza. Il tutto in un clima tale che non si sa ancora in che formula, se un coordinamento o una consultazione informale di segretari regionali e dirigenti, Bersani cercherà di trovare una sintesi. “Non si riesce neanche più a fare un caminetto tra tutti i big, Letta incluso – spiega un dirigente – altrimenti c’é il timore che Renzi, che non verrebbe, poi denunci accordi occulti”. Ma entro sabato il candidato unico va trovato altrimenti un’assemblea al buio rischia di avere esiti imprevedibili.

 

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