“Avessimo utilizzato un’altra espressione, probabilmente non avremmo avuto la visibilità ottenuta con ‘rottamazione'”, ma “é anche vero che in una comunità come quella italiana, dove il 70 per cento della popolazione è over 40, forse l’impatto è stato eccessivo. Ho impaurito. Dunque ho sbagliato”.

Lo scrive Matteo Renzi nel suo libro “Oltre la rottamazione. Nessun giorno è sbagliato per provare a cambiare” che sarà presentato oggi al Salone del libro di Torino e di cui alcuni quotidiani (La Stampa, Messaggero, la Repubblica, il Giornale) anticipano passaggi. Renzi racconta di come abbia vissuto le ore che hanno preceduto la nascita del governo Letta quando sembrava dovesse toccare a lui. “L’ipotesi che consideravo impossibile, infatti, prende corpo nelle telefonate più stravaganti. Dai miei avversari interni nel Pd, che sono i ‘giovani turchi’, ai sindaci delle città più importanti, da leader esperti come Veltroni e Casini, da sinistra a destra ricevo molti incoraggiamenti a mettermi in gioco. I miei amici sono ovviamente terrorizzati: ‘Matteo, questo e’ un trappoloné”. Renzi decide quindi di vedere Enrico Letta: “ci parliamo, guardandoci in faccia: chiunque sarà il candidato avrà il totale appoggio dell’altro”. “Letta lascia l’ufficio e io cerco di capire che sta succedendo nel centrodestra”: alla fine chiama al telefono Angelino Alfano, che gli passa Berlusconi. “Dall’altro lato della cornetta la voce è cordiale- scrive Renzi -. ‘Non c’é un veto nostro, caro sindaco. Semplicemente non vogliamo te, preferiamo Amato e Lettà. C’é un problema di vocali, insomma: volevo prendere il voto dei delusi di Berlusconi, arrivo a prendere il veto. E’ un’apofonia vocalica che non costituisce per me motivo di delusione, ma di divertita soddisfazione. Penso a quanto sono stato mediaticamente insultato nel mio partito per essere la ‘spia’ di Berlusconi”.

 

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