Quando si parla di Carditello, così per gran parte del patrimonio storico-artistico di Terra di Lavoro, e non solo, la prima cosa che ci viene in mente è il grave stato di crisi in cui sembra avvolgere ormai completamente il panorama culturale campano.
La Reggia o meglio, Real Sito di Carditello assieme alla più celebre Reggia di Caserta, al Palazzo Reale di Napoli, alla Reggia di Portici, rappresenta uno dei ventidue siti un tempo appartenenti alla casa reale borbonica di Napoli.
Destinata in origine alle attività di caccia da Carlo di Borbone, Carditello, diventa celebre quando per volere di Ferdinando IV e il favore di un territorio particolarmente fertile (la celebre Campania Felix), il sito si trasforma in un’azienda agricola di eccellenza nel campo delle attività connesse agli allevamenti bovini, e nel perfezionamento di razze equine pregiate.
Allo splendore borbonico, segue il declino post Unità d’Italia che porta il sito, nel 1920, nelle mani del demanio di Stato, che ne assegna immobili e arredi all’Opera Nazionale Combattenti, lottizzando e vendendo l’enorme estensione di terreno circostante.
Si salvano solo il fabbricato centrale, l’attuale Reggia, sede di importanti affreschi di Jacob Philipp Hackert e dei pregiati marmi sfuggiti alle continue trafugazioni, e i quindici ettari racchiusi nell’attuale perimetro murario i quali, nel 1943 diventano sede dell’occupazione nazista che li restituirà in pieno degrado, al patrimonio del Consorzio Generale di Bonifica del Bacino Inferiore del Volturno.
Un degrado che negli anni ha letteralmente trasformato Carditello nell’emblema, secondo il Touring Club Italiano, dell’abbandono dei beni culturali del nostro Paese.
Abbandono che da un lato ha favorito gli spietati saccheggi di cui è tutt’oggi preda la struttura, e dall’altro ha permesso che si chiudessero gli occhi di fronte al sorgere delle vicine discariche di Ferrandelle e Marruzzella, annoso sversatoio di quella diabolica commistione tra politica, economia e camorra altrimenti nota come un’emergenza rifiuti che ha trascinato nel baratro, non solo tutte le ipotesi di recupero di territorio sotto il profilo storico-artistico, ma ha anche compromesso una filiera agricola di eccellenza che fornisce un prodotto unico al mondo come la mozzarella di bufala.
Oggi però, più del degrado, a preoccupare i numerosi volontari di altrettante associazioni e comitati che lottano in difesa di Carditello, è l’ordinanza con cui nel 2011 il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, per i pesanti debiti contratti dal Consorzio del Basso Volturno con l’ex Banco di Napoli (oggi Gruppo Banca Intesa), dispose la vendita all’asta del Real Sito fissando come base d’asta 20 milioni di euro. Base che attualmente è ridotta a 10 milioni per effetto del ribasso imposto da ben otto sedute andate e che rischia di esporre la procedura all’attacco di offerte provenienti da privati che potrebbero nascondere collusioni con la criminalità organizzata, soprattutto se le istituzioni non si decidono ad esercitare quel diritto di prelazione che scatterebbe nel caso il prezzo venisse ritenuto “ragionevole”.
Piccola rassicurazione in tal senso, in vista della prossima asta che si terrà il 20 giugno, o il 27 in caso di mancate offerte nella prima chiamata, l’intenzione da parte dell’avvocato Luigi Meinardi, custode giudiziario del bene, di bloccare il prezzo a 10 milioni.
Posizione che per la prima volta sembra dare un senso al lavoro dei tanti volontari che in questi anni, attraverso i la sistemazione dei luoghi necessaria a garantire idonee condizioni di decoro del bene, le consuete attività didattiche, percorsi tematici, visite guidate, hanno lavorato e lavorano non solo per tenere alta l’attenzione su una ricchezza come Carditello ma soprattutto per restituire il Real Sito alla popolazione. Per trasformarlo in bene comune e sottrarlo una volta per tutte a quel degrado e al disinteresse di quelle istituzioni che oggi sono chiamate ad un serio atto di responsabilità, proprio per scongiurare che il sito venga (s)venduto all’asta.
Vincenzo Viglione