“Nel mondo piu’ di 300 milioni di persone vivono intorno agli oltre 1.300 vulcani attivi”. Lo afferma il vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano Sandro de Vita, secondo cui il Vesuvio e’ quello a “piu’ alto rischio, considerando tre paramentri: la pericolosita’, il valore esposto e la vulnerabilita’”. “Vi sono nel mondo vulcani anche piu’ pericolosi del Vesuvio – fa notare l’esperto – ma in zone desertiche o poche abitate. Nella zona flegrea e vesuviana invece vive un milione di persone, una concentrazione di popolazione che non ha eguali”.
Ma perche’ i campani si ostinano a sfidare la sorte e ad abitare alle falde di un vulcano attivo? “Fin dalla preistoria – afferma De Vita – hanno dimostrato resilienza, la capacita’ di riprendersi da eventi anche catastrofici; hanno saputo interfacciarsi con eruzioni violente e riprendere la loro civilta’”. Proprio per comprendere le relazioni tra vulcanismo, l’ambiente e le comunita’ umane si terra’ a Pisa, dal 16 al 18 settembre, nell’ambito di Geoitalia (convention internazionale organizzata ogni due anni dalla Federazione Italiana di Scienze della Terra) un incontro di scienziati di varie discipline, provenienti da vari Paesi. “I vulcani e l’umanita’ sono da sempre strettamente collegati in un rapporto spesso vantaggioso ma talvolta catastrofico per l’uomo – spiega de Vita – quest’ultimo infatti, a dispetto del pericolo, ha sempre trovato vantaggioso insediarsi nei pressi dei vulcani, in virtu’ della fertilita’ dei suoli e della presenza di minerali e rocce utili come materiali da costruzione”. “Le eruzioni vulcaniche hanno influito sui cambiamenti climatici – ha proseguito de Vita – ambientali e sociali. Il vulcanismo nell’area vesuviana e’ iniziato almeno 400.000 anni fa, come testimoniato dalle eta’ di lave incontrate in perforazione nel pozzo Trecase ad una profondita’ di almeno 1.125 m. Oggi grazie a un approccio integrato Geologia – Archeologia, siamo riusciti a ricostruire l’evoluzione del territorio intorno al Vesuvio nel periodo compreso tra l’eruzione pliniana delle Pomici di Avellino e quella sub-pliniana del 472 d.C. E’ emerso che l’area e’ stata interessata dalla deposizione dei prodotti di numerose eruzioni vulcaniche caratterizzate da diversa energia, effetti e durata”.
Inoltre l’accumulo lungo i versanti dei rilievi attorno alle piane vesuviane di grandi quantita’ di materiale piroclastico sciolto, depositato rapidamente nel corso delle eruzioni, ha favorito nel tempo la generazione di ripetuti episodi di alluvionamento, che hanno frequentemente causato l’impaludamento e il seppellimento delle piane sotto spesse coltri detritiche. La diffusa presenza di tracce archeologiche nella zona testimonia – ha continuato de Vita – che nonostante il verificarsi di numerosi eventi vulcanici e di fenomeni connessi molto intensi, le popolazioni che si sono avvicendate nell’area hanno trovato sempre buone ragioni per ritornate ad occupare il territorio. “L’Italia e’ un esempio della convivenza tra uomini e vulcani che, attraverso i secoli, ha portato allo sviluppo di una civilta’ – ha concluso de Vita – che oggi pero’ deve confrontarsi con la crescente esposizione al rischio, derivante soprattutto dall’inurbamento incontrollato”.