L’hanno convinta a venire in Italia con il miraggio di una vita migliore. Alla frontiera le hanno sottratto i documenti e,una volta a Roma, l’hanno tenuta segregata in un casale abbandonato e costretta all’accattonaggio. È una situazione andata avanti per mesi, durante i quali una donna è stata obbligata, costantemente sotto minaccia di gravi ritorsioni e spesso anche di morte, a chiedere l’elemosina per le vie del centro per conto di due connazionali senza scrupoli.
I due aguzzini a fine giornata perquisivano la donna per essere sicuri che non trattenesse per sé nulla di quanto guadagnato, se poi provava a ribellarsi veniva picchiata e minacciata. A seguito delle ripetute e violente percosse subite, la vittima è stata costretta a recarsi in ospedale, ma sempre di nascosto, anche quando è stata bruciata alle caviglie con una sigaretta. Nei giorni scorsi, però, la donna ha accusato forti dolori addominali, ha approfittato dell’assenza dei suoi sfruttatori ed è andata di nuovo in ospedale. Qui ha incontrato un altro connazionale, al quale ha potuto finalmente raccontare la sua storia, e che l’ha convinta a denunciare tutto alla Polizia. Ad ascoltare la denuncia della donna sono stati gli agenti del Posto di Polizia dell’ospedale San Camillo che, insieme agli altri colleghi del Commissariato Monteverde, diretti dal dott. Antonio Roberti, hanno individuato il luogo descritto dalla donna e lì hanno trovato anche i due malviventi. Negli edifici diroccati di una ex fabbrica su Lungotevere Gassman sono stati rintracciati un uomo ed una donna, V.G., 59enne, e M.E., di 46 anni, entrambi rumeni in Italia senza fissa dimora, sottoposti a fermo di indiziato di delitto con l’accusa di riduzione in schiavitù.