Secondo i pm di Napoli, Alfonso Papa non andava scarcerato. E il 28 ottobre scorso, assieme al parere negativo, hanno depositato nuovi atti di indagine (tra cui molte intercettazioni) con l’obiettivo di dimostrare perche’, a loro avviso, il deputato del Pdl doveva rimanere a Poggioreale. Papa, ritiene la Procura, brigava per inquinare le prove e aveva dei ”contatti” attraverso i quali riceveva notizie sull’inchiesta.
Ma le valutazioni dei pm non sono state condivise dalla I sezione del Tribunale, davanti alla quale il processo riprendera’ il prossimo 8 novembre: secondo i giudici, infatti, i ”contatti” evidenziati dal pubblico ministero ”non palesano un’attivazione dell’imputato funzionale a modificare a suo favore la portata degli elementi probatori gia’ raccolti”. Inoltre ”il tenore delle dichiarazioni di persone informate sui fatti appare al piu’ indicativo della preoccupazione di Papa di acquisire notizie sul contenuto delle informazioni rese da tali soggetti agli inquirenti”. Secondo i giudici, insomma, l’ex pm era solo ansioso di capire cosa avessero detto i testimoni ai pm, ma non intendeva inquinare le prove. E al tempo stesso cercava di ”mantenere vivo su di se’ l’interesse dell’opinione pubblica, sollecitando un generalizzato consenso in procinto dell’imminente inizio del processo”; con questo obiettivo, secondo i giudici, Papa provo’ ad organizzare iniziative assieme a due fratelli, Alessandro e Roberto Di Lorenzo, uno dei quali detenuto con lui a Poggioreale. Nulla, dunque, che rendesse necessaria l’ulteriore permanenza del deputato in una cella del carcere, dove ha trascorso le sue giornate dal 20 luglio scorso, data in cui la Camera autorizzo’ il suo arresto. Secondo i giudici non e’ possibile escludere il rischio di recidiva; tuttavia ”l’incensuratezza di Papa, il tempo trascorso di sottoposizione alla misura coercitiva estrema, la risonanza mediatica della vicenda processuale connessa alla carica pubblica ricoperta da Papa sono elementi che, globalmente valutati, hanno certamente attenuato la pericolosita’ dell’imputato e dunque la concreta possibilita’ di riproporre i medesimi meccanismi operativi illeciti, anche in ragione della eclatante e indiscutibile perdita di affidabilita’ dell’imputato”. Quello che i pm giudicano ”l’intento di riproporre i medesimi meccanismi operativi di cui alla contestazione” e’ invece, secondo i giudici, ”un maldestro tentativo di Papa, in via autonoma ovvero a mezzo di familiari e conoscenti, di riaccreditare la propria persona ed immagine pubblica”.