Capodanno a casa per gli Arctic 30: dopo tre mesi finisce l’odissea russa per Cristian D’Alessandro e i suoi compagni. Questa mattina anche l’attivista italiano di Greenpeace, ultimo fra gli Arctic 30, si è visto notificare l’amnistia varata dalla Duma la scorsa settimana, e entro la fine di questa settimana potrà tornare a Napoli riabbracciando la famiglia e gli amici. Chiuso il procedimento penale, evitato il processo, caduta l’accusa di “teppismo” per l’assalto alla piattaforma di Gazprom che scatenò il caso, e che Greenpeace ha sempre contestato, definendo il blitz un’azione pacifica di protesta contro i rischi ambientali derivati dalle trivellazioni petrolifere nell’Artico.

Finalmente liberi, oltre a tre russi, i 26 attivisti stranieri del gruppo: 14 di loro oggi hanno ricevuto il visto di transito che gli permetterà finalmente di lasciare la Russia (ne sono sprovvisti in quanto entrati illegalmente nelle acque territoriali russe) e rimpatriare, mostrandolo esultanti ai giornalisti all’uscita dall’Ufficio Immigrazione. E il primo ha già lasciato San Pietroburgo questa sera, partito su treno diretto a Helsinki: è Dmitri Litvinov, svedese-americano di origine russa. I restanti militanti, secondo Greenpeace Russia, compreso Cristian, dovrebbero ottenere domani il timbro sul passaporto. E “tra domani e la fine di questa settimana tutto l’equipaggio del rompighiaccio tornerà a casa”. Dopo aver sperimentato sulla propria pelle la giustizia russa: arrestati il 19 settembre dalle guardie di frontiera per il blitz alla Prirazlomnaya nel Mar Pechora, gli ambientalisti sono stati portati nella gelida Murmansk, oltre il Circolo Polare Artico, e messi in detenzione preventiva per due mesi. Poi trasferiti in diverse prigioni a San Pietroburgo il 12 novembre, e in seguito rilasciati su cauzione di 45mila euro. Attualmente soggiornano in albergo nella città sul Baltico. L’iniziale accusa di “pirateria” (punita dalla legge russa con fino a 15 anni di prigione), era stata declassata a “teppismo” (pena massima 5 anni). I 30 di Greenpeace – cittadini di 18 diversi paesi – sono così gli ultimi “famosi” a beneficiare dell’amnistia lanciata dal presidente Vladimir Putin per i 20 anni della Costituzione russa post-sovietica. Che dopo il sì dei deputati, il 18 dicembre, ha visto un’accelerazione improvvisa, mettendo in libertà nel giro di pochi giorni i protagonisti dei casi più spinosi per il Cremlino che avevano scatenato critiche internazionali contro la Russia: dalle due Pussy Riot lunedi, all’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky, graziato a sorpresa da Putin venerdi. Una mossa vista da molti come un tentativo di calmare le proteste contro Mosca alla vigilia delle Olimpiadi Invernali di Soci che iniziano il 7 febbraio e fermare il boicottaggio già avviato da alcuni leader mondiali. Ma anche incoraggiare gli investimenti stranieri mentre la crisi morde. La Russia insomma perdona, anche se non scagiona: solo una settimana fa nella sua annuale conferenza stampa, Putin ha ribadito che l’arresto dei 30 membri di Greenpeace “deve servire da lezione”, precisando che l’amnistia “non è stata decisa per loro”.

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