di Ginorossi
Spulciando nella vasta biografia di Fabrizio De Andre’ sono rimasto colpito dalla sua formazione scolastica. Frequenta, infatti, le elementari presso un istituto privato retto da suore. Continua la scuola superiore in istituto statale da dove è cacciato per il suo comportamento anticonformista.
Per questo motivo viene trasferito presso un istituto di gesuiti moto severo. Qui però diventa vittima di una tentata violenza sessuale da parte di un professore gesuita al quale si ribellò denunciando il fatto e l’accaduto ebbe tanto clamore che poi alla fine riuscì a far allontanare il gesuita. Prosegue gli studi e si laurea in giurisprudenza, ma la musica sarà infine la sua professione tanto che una volta ha dichiarato « …pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra».
Di simpatie anarchico-liberali-pacifiste era soprannominato dai suoi amici “Faber” a causa della sua passione per le matite Faber-Castell, soprannome affibbiatogli dal suo amico Paolo Villaggio. In quarant’anni di vita artistica ha inciso tredici album più vari singoli ed alcune raccolte. Nelle sue canzoni ha cantato con coraggio di drogati, emarginati, prostitute, bombaroli e disertori mettendo a confronto la loro realtà quotidiana con quella dei falsi perbenisti borghesi.
Nella sua antologia dei vinti l’essenza delle persone conta più delle loro azioni e del loro passato. Di carattere molto riservato ha preferito lavorare principalmente nelle sale discografiche, evitando di fare concerti anche perché molto timido e con il complesso per via di una leggere malformazione a un occhio. Tiene, infatti, il suo primo concerto nel ’76 quando era già famoso da anni, alla Bussola di Viareggio e da quel momento in poi inizia la sua attività dal vivo suonando però, sempre nella penombra e aiutandosi a vincere la timidezza con molta dose di wisky. All’apice della sua carriera nel ’79 viene rapito con la moglie (Dori Ghezzi) dall’anonima sarda e tenuto in ostaggio tre mesi rilasciato poi dietro il pagamento di un ricco riscatto. Una volta libero ebbe parole di pietà verso i suoi rapitori, dichiarando che lui aveva avuto la fortuna comunque di essere ritornato libero, mentre i suoi carcerieri non lo sarebbero mai stati.
Negli ultimi anni della sua vita artistica ha collaborato con la Premiata Forneria Marconi con i quali ha riarrangiato gran parte delle sue canzoni più significative e tenendo dei tour da cui sono stati tratti due bellissimi album dal vivo. La vita artistica di De Andrè è molto intensa, ha tradotto brani di Bob Dylan, Leonard Cohen, Geoges Brassens; ha collaborato con De Gregori, Fossati, Massimo Bubbola, Mauro Pagani, Nicola Piovani.
E’ stato amico di Tenco, Bindi, Paoli nonché della scrittrice e traduttrice Fernanda Piovani (che ha fatto conoscere in Italia con le sue traduzioni la letteratura americana) la quale ha collaborato nella stesura dei testi dell’album “Non al denaro, non all’amore né al cielo” tratto dall’antologia di “Spoon river” di Edgar Lee Masters. Muore di cancro nel gennaio del ’99 e ai suoi funerali partecipò una folla di oltre diecimila persone tra cui amici ed esponenti dello spettacolo, della politica e della cultura.
“Le Nuvole”, oggetto della recensione, è il dodicesimo album registrato in studio da De Andrè uscito nel 1990. Il titolo è preso dall’omonima commedia di Aristofane e nella prima parte dell’album le nuvole sono da intendersi come quei personaggi della vita sociale e politica e stanno a indicare tutti quelli che hanno paura del nuovo, infatti, il nuovo potrebbe scalfire le loro posizioni di potere. Nella seconda parte dell’album vi è il popolo, che subisce le nuvole senza dare il minimo segno di protesta. L’album è suddiviso in due parti di cui una è cantata in italiano (Le Nuvole, Don Raffaè, Ottocento e La Domenica delle Salme), l’altra cantata in vari dialetti (Mégu megún, La nova gelosia, ‘Â çímma, Monti di Mola).
Il brano che dà il titolo all’album è recitato da due attrici, un’anziana e l’altra più giovane, che recitano i loro versi su di una musica intensa e sognante. “Don Raffaè”, scritta con Massimo Bubbola è in un dialetto napoletano maccheronico e denuncia lo stato delle carceri. Narra di un camorrista e di un brigadiere che come unica speranza di miglioramento ha quella di affidarsi a Don Raffaè al quale, in cambio del caffè, oltre al posto di lavoro chiede finanche un cappotto! “Ottocento” è un brano tipo opera buffa, dove vi è un miscuglio di stili che va dal lirico al tirolese. E’ una denuncia del capitalismo moderno paragonato a quello ottocentesco in cui si prendono in giro coloro che sono pronti a farsi abbindolare dalle trovate pubblicitarie.
“La Domenica delle Salme”, musicata da Mauro Pagani, narra la storia del colpo di Stato silenzioso che è avvenuto in Italia e della vittoria silenziosa, senza che nessuno se ne accorgesse. Nel testo, da cui traspare tutta la grandezza del De Andrè narratore, compaiono tante patetiche storie personali fallimentari compresa la sua e dei suoi colleghi cantanti. “Mégu megún” scritta in dialetto genovese con Ivano Fossati è la storia di un “medico medicone” che va a curare un malato immaginario ma non ci riesce. Infatti, alla fine questi preferisce restare prigioniero del suo letto immerso nei suoi sogni.
“La nova gelosia” è una canzone napoletana del XVIII secolo d’ignoto e rappresenta il serramento della finestra, la persiana che impedisce all’amato di poter vedere la sua bella. “A Cimma”, anch’essa in dialetto genovese scritta con Fossati, descrive la preparazione di un piatto tipico genovese “la cima”. “Monti di mola” è l’ennesimo omaggio che De Andrè tributa alla sua terra adottiva, la Sardegna. I Monti di Mola è la denominazione gallurese della Costa Smeralda. Scritto in gallurese narra dell’amore impossibile tra un giovane e un’asina, irrealizzabile non tanto per la diversità dei due, ma per problemi burocratici. All’incisione partecipano i Tazenda.
Nel luglio del 2007 la Piovani nel consegnare a De Andrè il Premio Lunezia, lo definisce il più grande poeta in assoluto degli ultimi cinquant’anni in Italia aggiungendo che “sempre di più sarebbe necessario che, invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è Fabrizio americano”. Molti testi delle canzoni di De Andrè sono studiati nelle scuole italiane.
Artista: Fabrizio De Andre’
Titolo: Le Nuvole
Genere: Musica d’autore
Anno: Settembre 1990
Etichetta: Ricordi-Fonit-Cetra
TRACKLIST:
1. Le nuvole
2. Ottocento
3. Don Raffaè
4. La domenica delle salme
5. Mégu megún
6. La nova gelosia
7. ‘Â çímma
8. Monti di Mola