Metodi alternativi alla vivisezione esistono e vengono utilizzati con successo anche maggiore a quelli tradizionali. Ma in questo l’Italia sconta un grave ritardo, nonostante molto spesso la validità di test effettuata su animali non sia trasferibile alla razza umana.

Ad esempio nell’ambito del cervello nessun tipo di farmaco sviluppato su animali si è rivelato efficace sull’uomo”, spiega Marcel Leist, direttore del Caat-Eu (Center for Alternative to Animal Testing) a margine del convegno ‘La ricerca scientifica senza animali e il nostro diritto alla salute’, organizzato presso la Camera dei deputati dalla Federazione Italiana Diritti Animali e Ambiente. Il dibattito viene da lontano ma si è riacceso ultimamente, in seguito alle immagini choc di una studentessa universitaria di Padova che si diceva viva grazie alla sperimentazione animale e il caso dei ricercatori che praticano la sperimentazione finiti su manifesti anonimi su facebook. Ma la scienza è sempre più divisa sulla necessità dei test ‘in vivo’ che, secondo il sesto rapporto della Commissione europea, nell’anno 2008, hanno coinvolto 21.000 cani, 330.000 conigli e 9.000 scimmie. “La sperimentazione sugli animali – prosegue Leist – veniva utilizza in passato, ma ora esistono metodi più efficaci, come quelli che utilizzano tessuti prodotti in vitro. In particolare in questo settore si distinguono Germania e Olanda, ma anche negli Stati uniti si stanno investendo in questo campo”. In Italia però, questo non si fa, è la denuncia di Michela Kuan della Lav, Lega Anti Vivisezione. “Non ci sono investimenti economici nel settore abbiamo grave gap culturale rispetto ad altri paesi”, spiega Kuan. Al contrario spesso gli animali “vengono usati in modo ‘indiscriminato’ non solo per lo sviluppo di nuovi farmaci salvavita ma anche per formazione universitaria, esperimenti bellici e test cosmetici”. Pochi i controlli, secondo Kuan visto che “circa l’80% degli esperimenti viene autorizzato tramite semplice meccanismo di silenzio assenso, senza nessun controllo”. Per giunta, il paradigma della sperimentazione animale è talmente consolidato in ambienti accademici che è anche difficile opporvisi. “All’interno delle Università gli studenti anno possibilità di fare obiezione di coscienza all’utilizzo di test su animali ma spesso sono osteggiati”, denuncia il ricercatore dell’Università della Tuscia Roberto Cazzolla Gatti.

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