Due gruppi principali, ma anche anche pusher ‘singoli’, che si erano divisi lo spaccio di cocaina in diverse zone della Napoli ‘bene’. Uno aveva rapporti con il clan Mazzarella ed i clan dei Quartieri Spagnoli e si occupava dei quartieri di Chiaia e Posillipo; l’altro delle isole e della zona costiera. Cosi’ era strutturata la banda scoperta da una inchiesta che ha portato a piu’ di 60 arresti anche tra incensurati professionisti e imprenditori. La prima compagine faceva capo ai fratelli Angelo e Giovanni Schisano, l’altra a Guido De Palo, gestore di un garage a Fuorigrotta, e Giuseppe Serpa, che avevano a loro disposizione una decina di pusher, che, a differenza di altre associazioni criminali, avevano una autonomia decisionale. E l’organizzazioni che vendeva sostanza stupefacente aveva un lungo elenco di clienti, tra cui numerose donne, molti nomi noti nei salotti della borghesia partenopea. Ai professionisti di Posillipo, della Riviera di Chiaia e del Vomero era consentito di rivendere le dosi acquistate. I contatti tra organizzatori, pusher e acquirenti avvenivano con dialoghi criptati attraverso soprattutto telefonini con sim card intestate a extracomunitari o a persone ignare, spesso anche per una sola chiamata, con un numero dedicato per i clienti e l’altro per i pusher. Inoltre, spesso gli spacciatori informavano i clienti, soprannominati in alcuni casi anche ‘ristoranti’, di essere in possesso dello stupefacente attraverso sms con testi quali “Uee, ho del vino buono fammi saper se ti piace altrimenti puoi rimandarlo indietro”. Come e’ emerso dalla intercettazioni, non erano pochi che si servivano di un alias: ‘Gabibbo’, ‘il pittore’, o scherzando sul proprio con il suo cognome, Sorriente, nominando i vari comuni della Penisola Sorrentina. Anche il numero di dosi da acquistare veniva indicato in maniera criptica. ‘Barbara’, significava che il cliente aveva bisogno di due dosi, essendo la lettera ‘B’ la seconda dell’alfabeto.