9.00 del mattino, Milano Centrale. La stazione è viva già da ore.  Un continuo scorrere e correre di umanità mista, frettolosa, indifferente. “Sono arrivati anche oggi” mormora qualcuno. Parlano dei Siriani, dei profughi siriani. A centinaia si riversano in stazione dopo una dura notte in treno ammassati gli uni sugli altri. Un viaggio duro, che ai più sembra quasi un lusso dopo la traversata in mare.  Si muovono in gruppo e quasi si confondono nella folla della stazione centrale che sembra non trovar mai pace. Poi si ritrovani lì, a ridosso dell’uscita principale, in cima alle scale. Si ricompattano , aspettano. Gli è stato detto di fare così.

Il comune ha organizzato un presidio di accoglienza e smistamento dalle 14 fino a tarda sera. Loro lo sanno, e allora aspettano.

Il viaggio è forse a metà. Partenza dalla Libia, sbarco in Sicilia e tappa a Milano. Destinazione nord e centro Europa.

Ormai è chiaro che in Italia nessuno vuole restarci; per questi uomini, donne e bambini, l’Italia è semplicemente un passaggio obbligato.

Dopo la stazione, i centri d’accoglienza gestiti nell’ambito del progetto SPRAR, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali che accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Anche queste, semplici tappe. Non cercano riparo, protezione, se non temporanea. Non in Italia. Il tempo di organizzarsi, di racimolare la cifra necessaria, per chi ne ha bisogno, e via verso l’europa.

Non si tratta solo di Siriani, anche se al momento sono gli unici a poter rientrare ufficialmente in questo sistema di assistenza e protezione. Eritrei, Palestinesi, Tunisini, Libici, Maliani. Uomini, donne e bambini.

Sopravvissuti, per ora. Intanto in mare si continua a morire, così come continua l’odiosa pratica dello scaricabarile tra uno stato e l’altro, tra interessi vari perseguiti, oneri e responsabilità che nessuno vuole ancora assumersi.

 

Luca Leva


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