“Santità, Siamo i migranti e rifugiati dell’Africa sub- sahariana che in questi ultimi anni hanno lasciato la propria casa, la propria famiglia e le proprie radici per tentare di raggiungere l’Europa e ottenere col proprio lavoro una vita dignitosa, più umana. Oggi chiediamo a Lei di volerci concedere un’udienza, al fine di poterci confrontare, di poterle esprimere le nostre speranze e le nostre proposte e di ascoltare le Sue”. Inizia così la lettera-appello che gli immigrati del movimento dei Migranti e dei Rifugiati di Caserta, molti dei quali provenienti da Castel Volturno, teatro due settimane fa di uno scontro tra la comunità nera e quella bianca, consegneranno al Papa per la visita di oggi. “Abbiamo ascoltato e letto con attenzione e speranza le parole che Lei sta dedicando al dramma delle migrazioni, alle situazioni delicate come Lampedusa, alla mancata accoglienza e alla percezione del fenomeno come un’emergenza – prosegue la missiva – e soprattutto ci riconosciamo nella critica alla “cultura dello scarto”. “Eccoci – scrivono gli immigrati – noi siamo tra gli “scartati”. Le nostre storie sono tutte simili: abbiamo attraversato il deserto, il Mediterraneo; alcuni fra noi sono stati costretti a indebitare le proprie famiglie”. E questo per ‘comprare’, sottolineano ”un visto per l’ingresso in Italia, rimanendo poi schiavi di chi ha prestato quel danaro. Tra noi alcuni, una volta giunti in Italia, abbiamo chiesto asilo politico, ma tantissimi non l’hanno ottenuto. Di tutto ciò i telegiornali non dicono nulla: a Lampedusa siamo numeri, statistiche e argomento forte per le campagne elettorali. Nulla di più. Oggi viviamo in tantissimi “stipati” nella fascia di terra che collega Napoli e Caserta, che ha come epicentro Castel Volturno, balzata anche recentemente agli “onori” delle cronache per la gambizzazione di due nostri fratelli africani”. “Castel Volturno – scrivono i migranti – è un laboratorio di schiavismo, di deformazione di quanto ci possa essere di bello nell’essere umano: è uno degli epicentri europei dello “spreco degli uomini”. E’ popolata anche da noi, immigrati entrati in una metamorfosi che ci trasforma in schiavi, animali- lavoratori, senza alcuna caratterizzazione o abilità specifica, costretti a lavorare duramente ogni giorno “a nero” per pochi spicci, senza alcuna garanzia e tutela”.