Piedimonte Matese –  Potremmo chiamarla psicopatologia del sisma. Il terremoto, con le sue scosse, incontrollabili di tipo materiale  , ha  scrollato non solo le nostre abitazioni che sembravano lontane,  inviolabili ma  anche   quel muro di fiducia che pareva  circondare  i nostri spazi, familiari, rionali o cittadini. Dalle profondità della  terra è venuta fuori anche quella  inquietudine  che era solo nascosta, acquattata, nell’animo umano .

Si è sprigionata  quella  forza “ipocentrica” della paura. Ci siamo scoperto così fragili e vulnerabili. Anche  su questo  occorrerebbe intervenire co misure di supporto e prevenzione della collettività: informazione, psico-educazione, Interventi nelle scuole in cui occorre (ri)attivare quelle  forme di intervento previste in via ordinaria per la comunità scolastica.  Insomma squadre  non solo della protezione civile per i riscontri nelle crepe degli edifici ma anche mettere in campo, molto di più e meglio quelle competenze in termini di servizi psicologici per gestire il mal-essere, quelle forme di ansia che hanno avuto una ricaduta così capillare in ogni spazio della vita sociale.  A che punto siamo ? Siamo attrezzati e cosa  bisogna mettere in campo nel segmenti-chiave   della  vita collettiva queste  ondate di “psicosi” ?  Si può trasformare la paura in risorsa? Si può “liberarla”?

 

Già Seneca   scriveva in “Questioni naturali”, a proposito del terremoto che colpì la Campania nel 62 d.c.: “Bisogna cercare modi per confortare gli impauriti e per togliere il grande timore. Infatti, che cosa può sembrare a ciascuno di noi abbastanza sicuro, se il mondo stesso viene scosso e le sue parti più solide vacillano? Se l’unica cosa che c’è di immobile e di fisso in esso, tanto che regge tutte le cose che tendono verso di essa, tremola; se la terra ha perso quella che era la sua peculiarità, la stabilità: dove si acquieteranno le nostre paure? Quale rifugio troveranno i corpi, dove si ripareranno, se la paura nasce dal profondo e viene dalle fondamenta? ”  Nella sua opera, l’obiettivo di Seneca voleva essere quello di liberare l’uomo dalla paura e soprattutto dalla superstizione intorno ai fenomeni naturali.

beh,  un po’  velleitario, il nostro  Seneca. Però in fonda la paura è qualcosa di naturale.

“Certo. Ad oggi- risponde la dott.ssa Stefania Carnevale, psicologa e psicoterapeuta-  potremmo definire tale tentativo- prosegue Carnevale- abbastanza colorito perché fatto attraverso ipotesi e supposizioni sicuramente confutabili. Ci sembrano però molto pregnanti le parole che abbiamo riportato a descrizione delle sensazioni ed emozioni soggettive relative alla reazione psichica al terremoto.  Seneca infatti fa proprio riferimento ad uno dei bisogni fondamentali della nostra mente, quello collegato alla sicurezza e al senso di protezione. Lo stesso di cui sperimenta la mancanza il neonato che piange quando ha bisogno di contenimento attraverso l’abbraccio della madre, che si manifesta nelle percezioni di un incubo in cui sogniamo di precipitare nel vuoto o attraverso le parole della saggezza popolare a descrizione di un evento che ci ha generato forte incertezza e instabilità: “mi sono sentito cedere la terra sotto i piedi”.

Qual è il comune denominatore, quindi, di esperienze che ci fanno provare quel senso di insicurezza, instabilità e precarietà e che, in altre parole, vengono percepite come traumatiche ?

Nella sua etimologia la parola “trauma”, dal greco “ferita”,  ci rimanda proprio alla nozione di qualcosa che minaccia la nostra integrità psicofisica (come accade per una malattia) e che va a colpire la nostra identità individuale e collettiva attraverso la difficoltà di percepirsi nel futuro e di vivere serenamente il presente. E’ facile capire –specifica la psicologa- allora come un evento sismico, a livello concreto e simbolico, rappresenti un forte “scossone” nell’equilibrio emotivo di una persona che, se non adeguatamente elaborato, può portare anche ad esiti psicopatologici per cui si rendono necessari adeguati interventi specialistici. Sappiamo che la vita quotidiana è costellata da innumerevoli sollecitazioni che ci portano a rispondere ai cambiamenti attraverso le nostre capacità di adattamento. In quest’ottica lo stress (dall’inglese “sforzo, tensione”) può essere definito proprio come una risposta del nostro organismo ad ogni stimolo, interno o esterno, esercitato su di esso e che risente fortemente della nostra reazione soggettiva all’evento. Cosa accade però quando lo stimolo è violento, improvviso e, potenzialmente traumatico come un terremoto?

Come è affrontata la problematica a livello di studi e ricerche?

La letteratura – prosegue  Carnevale- ci offre diversi inquadramenti diagnostici delle reazioni psichiche agli eventi ansiogeni. Ci preme, però, sottolineare che alcune reazioni sono la risposta fisiologica  ad eventi fortemente stressanti da che dobbiamo considerare con attenzione qualora dovessero assumere caratteristiche di cronicità ed intensità. Nelle prime settimane la riposta allo stress acuto può essere identificata in alcuni sintomi particolari tra cui: sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, marcato evitamento degli stimoli che evocano ricordi dell’evento (per es. pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi, persone), sintomi marcati di ansia (per es. difficoltà a dormire, sogni riguardanti l’evento, irritabilità, scarsa capacità di concentrazione, risposte di allarme esagerate, irrequietezza motoria). In sostanza la percezione diffusa è l’aspettativa che possa accadere qualcosa di grave. In questa fase vengono mobilitate tutte le risorse della persona con lo scopo di ricercare un nuovo adattamento, riprendere il proprio percorso di vita e trasformare la paura in costruttività.  L’obiettivo  è quello di trasmettere il messaggio che si può trasformare la paura in risorsa, ma per fare questo bisogna condividere le proprie esperienze e fare della comunità un gruppo che lavora insieme.

Nelle discussioni nelle strade  ma anche  sui  vari gruppi virtuali tipo fb ma anche altri social network   si sono  notati  atteggiamenti che spaziano dallo sterile allarmismo all’evitamento del problema attraverso la negazione di tutto quello che ricorda il terremoto. Il tutto condito da inutili e poco costruttive polemiche.  Cosa ne pensi quale strategia  si deve mettere in campo da parte dei vari soggetti della pubblica amministrazione , del sociale?

“Sicuramente un adattamento funzionale passa attraverso una cultura di comunità con  interventi di sensibilizzazione alla prevenzione e metodologie che coinvolgano la rete sociale (gruppi di discussione, educazione socio affettiva, gioco…), ma un’adeguata cultura della popolazione trova le sue basi in un concetto ancora troppo poco considerato: la consapevolezza del rischio. E’ interessante citare, a tal proposito, uno studio dell’INGV che ha evidenziato come in  Italia nove cittadini su dieci residenti nella zona 1 (la più pericolosa, grado attribuito anche al nostro comune) sottovalutino il pericolo che potrebbe derivare da un terremoto. Da tali riflessioni, forse, bisognerebbe ripartire e ri-costruire.  Un adeguato intervento psicologico  finalizzato  non solo alla gestione dell’emergenza ma anche alla costruzione di una percezione adeguata del rischio attraverso l’attivazione delle risorse della comunità che, al momento,  rappresenta la migliore possibilità di consapevolezza e, conseguentemente, di prevenzione.” Conclude la giovane professionista di Piedimonte Matese.

Ecco prevenire la paura o meglio gestire  meglio la consapevolezza del rischio  : è un obiettivo su cui occorre lavorare molto  all’interno delle agenzie  formative,  dei piani operativi che  di cui gli  enti territoriali devono dotarsi. E’ finita l’epoca delle  simulazioni burocratiche : l’impreparazione costa cara anche nelle sue dinamiche di impatto psicologico. Guardiamo avanti ed attrezziamoci anche in questa prospettiva.

Michele Martuscelli

 

 

 

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