Una norma scritta malissimo, che appare in contrasto in alcuni aspetti con quella europea in vigore da anni (il Regolamento 679 del 2016) e che suscita forti sospetti di legittimità nella parte in cui prevede una preclusione all’indicizzazione delle notizie, in quanto pone in essere un intervento preventivo all’uscita delle notizie stesse”. L’avvocato Guido Scorza, componente del Garante per la Privacy, ha una posizione fortemente critica in relazione all’articolo della riforma Cartabia che si occupa di diritto all’oblio (articolo 1 comma 25 della legge delega 134 del 2021). e del relativo decreto attuativo (art 64 ter del decreto legislativo 150 del 2022) e l’ha esplicitata nel corso del dibattito svoltosi il 20 ottobre, promosso dall’Ordine nazionale dei giornalisti per discutere sulle novità che entreranno in vigore il 2 novembre e che rischiano di avere un forte impatto sul lavoro giornalistico e sulla possibilità dei cittadini di essere compiutamente informati su fatti di interesse pubblico. La nuova normativa, infatti, prevede che i soggetti assolti in un processo penale, oppure oggetto di archiviazione o proscioglimento, possano chiedere l’apposizione, nella sentenza penale, di una annotazione da utilizzare per ottenere la deindicizzazione delle notizie che li riguardano (cioè la rimozione dai motori di ricerca di ogni link riferito al suo nominativo) e addirittura la preclusione all’indicizzazione per impedire l’uscita di notizie mai apparse fino a quel momento. Previsione, quest’ultima, che poco ha a che fare con il diritto all’oblio, che riguarda ovviamente episodi di cui si è avuta notizia, non potendo essere coperto da oblio ciò che è sempre stato sconosciuto. Per quale ragione intervenire con una norma nazionale in una materia già ben definita in ambito europeo dall’articolo 17 del Gdpr, che regola il diritto all’oblio indicando il necessario equilibrio con il diritto all’informazione?”, si è domandato Scorza, rilevando le numerose incongruità della norma inserita nella riforma Cartabia. A preoccupare non è tanto il concetto di diritto all’oblio, da anni recepito nel Testo unico deontologico dei giornalisti e già applicato dai motori di ricerca (Google in testa) e dal Garante per la privacy su iniziativa dei cittadini interessati (un milione ogni anno le richieste di de indicizzazione, accolte per metà), quanto l’automatismo previsto dalla nuova normativa, che peraltro sembra affidare l’attestazione non al giudice che ha emesso la sentenza di assoluzione (che potrebbe valutare se si tratti di una notizia di interesse pubblico e dunque non meritevole di cancellazione) quanto alla sua cancelleria, come se una materia delicata come quella di trovare un equilibrio tra diritto alla riservatezza e diritto all’informazione potesse essere affrontato e risolto da un impiegato amministrativo apponendo un timbro prestampato.
Dubbi sono stati posti anche sulla possibilità di opporsi a tale attestazione che, dopo essere stata apposta in calce ad una sentenza di assoluzione, potrà essere utilizzata per ottenere la de indicizzazione di notizie già pubblicate su quel processo, oppure la preclusione all’indicizzazione di notizie fino a quel momento mai linkate dai motori di ricerca. Perplessità sono emerse, inoltre, su quale sia l’autorità di fronte alla quale sarà eventualmente possibile, da parte di editori e giornalisti, presentare opposizione per garantire la conoscibilità di notizie di interesse pubblico, in quanto la legge non lo precisa. La questione è di estremo rilievo: gran parte delle richieste di de indicizzazione, infatti, sono state presentate fino ad oggi (in base all’articolo 17 del Regolamento europeo, recepito in Italia nel 2018) riguardano principalmente personaggi pubblici per i quali la privacy è necessariamente ridotta. “Questa novità normativa rischia di aumentare il contenzioso, in una materia che richiede invece la ricerca di un bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti – ha spiegato l’Avvocato generale di Roma, Salvatore Vitello – Per garantire tale bilanciamento serve l’intervento di un’autorità terza”. A lanciare l’allarme sui rischi conseguenti all’entrata in vigore della nuova normativa sono stati il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, e il componente dell’Esecutivo dell’Ordine nazionale, Gianluca Amadori, moderatore dell’incontro. Preoccupazioni sono state sollevate anche dall’avvocata Caterina Malavenda, la quale ha sottolineato come in questo periodo vi sia un evidente attacco alla libertà di stampa, nel tentativo di far uscire sempre meno notizie, soprattutto dai palazzi di giustizia, come dimostra anche la norma sulla presunzione d’innocenza, applicata in maniera restrittiva ed esorbitante la direttiva europea. “Fermo restando l’obbligo dei giornalisti di rispettare la dignità delle persone, l’applicazione del diritto all’oblio non può significare cancellazione della memoria su fatti di interesse pubblico – ha concluso Mario Consani, da anni giornalista di cronaca giudiziaria – La direzione nella quale si sta andando sembra quella descritta da Umberto Eco, di una grande biblioteca nella quale ci si potrà muovere soltanto al buio”. L’Ordine nazionale dei giornalisti sta costituendo un gruppo di lavoro, che sarà coordinato dal consigliere Gianluca Amadori, per studiare e predisporre tutte le iniziative necessarie per contrastare le crescenti limitazioni imposte al diritto dei cittadini di essere compiutamente informati.