E’ a un passo, dopo piu’ di cinque anni di odissea, la liberazione di Ghilad Shalit, il militare israeliano prigioniero dal 2006 nella Striscia di Gaza sotto il controllo degli islamico-radicali palestinesi di Hamas. Un accordo mediato dall’Egitto, che ne prevede il rilascio in cambio di un migliaio di detenuti palestinesi e’ stato raggiunto fra i negoziatori delle due parti e approvato in nottata a maggioranza – su proposta del premier Benyamin Netanyahu – del governo d’Israele convocato d’urgenza a Gerusalemme.

L’improvvisa accelerazione, dopo mesi di silenzio seguito a numerosi abboccamenti e ipotesi d’intesa svanite in extremis, ha trovato conferma dapprima al Cairo, per essere poi avallata anche da Hamas e dalla leadership israeliane. ”Ho sottoposto al governo un accordo che riportera’ Ghilad Shalit sano e salvo a casa, dai suoi genitori, entro qualche giorno”, ha annunciato ieri sera Netanyahu in un messaggio televisivo alla nazione, parlando di un documento d’intesa gia’ siglato ”definitivamente dalle parti”. Un conferma piena all’anticipazione di fonte egiziana, diffusa per prima nel tardo pomeriggio della tv panaraba Al Arabiya. Da Gaza e da Damasco, i vertici di Hamas hanno ribadito tutto. Accreditando per bocca di Abu Obeida, portavoce del braccio armato della fazione integralista, un tempo di ”pochi giorni”, forse una settimana, per chiudere la partita. E indicando in 1.027 – in una dichiarazione rilasciata dal rifugio siriano dal numero uno del Politburo, Khaled Meshaal – il numero esatto di coloro che usciranno di cella. Mentre nella Striscia, come in Cisgiordania, migliaia di persone, e attivisti, si riversavano in strada intonando slogan di ”vittoria”. Stando a quanto si e’ appreso, il baratto coinvolge diversi condannati per gravi fatti di terrorismo, e non solo militanti di Hamas. Sulla sorte di 450 di loro il gabinetto di sicurezza israeliano ha tenuto una riunione ad hoc prima della convocazione plenaria dell’esecutivo, allargata al capo di Stato maggiore delle forza armate e ai vertici dei servizi segreti. Alcuni dei rilasciati dovrebbero poter restare nei Territori palestinesi, malgrado le preoccupazioni e le proteste che gia’ si annunciano da parte di settori dell’establishment politico e della societa’. Mentre altri sembrano destinati a una qualche forma di ‘esilio’, almeno per ora. Fra i beneficiari, oltre diverse donne recluse, non dovrebbe rientrare il tribuno della seconda intifada Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli in Israele, ne’ Ahmed Sadat, leader storico del Fronte per la Liberazione della Palestina. A precisarlo, dopo voci in senso contrario, e’ stato il capo dello Shin Bet (servizi segreti interni israeliani), Yoram Cohen, avallando l’intesa, ma sottolineando che comunque l’intelligence israeliana non si impegna a non prendere di mira in futuro i detenuti rimessi in liberta’. Shalit, cittadino francese oltre che israeliano, sara’ da parte sua consegnato verosimilmente all’Egitto, per essere poi restituito a Israele in un secondo momento. Un rimpatrio che si prospetta emozionante, dopo anni d’attesa segnati da un isolamento assoluto rotto solo da qualche foto e da un filmato diffuso dai carcerieri nel 2009. Anni durante i quali la famiglia del caporale – catturato poco piu’ che ventenne da un commando di miliziani islamici in una sanguinosa incursione e maturato in cattivita’ – si e’ impegnata senza risparmio in una mobilitazione incessante, fino ad accamparsi per mesi sotto la residenza del premier, per favorire la trattativa e la liberazione del ragazzo. Quella liberazione che Netanyahu ha presentato stasera alla gente d’Israele come ”una promessa mantenuta” ai genitori di Ghilad, Aviva e Noam, informati personalmente per telefono. Ma anche – indirettamente – a tutti i genitori dei giovani israeliani di leva in divisa. La portata dell’intesa – attesa da tutti i Paesi che avevano preso a cuore il caso Shalit, Italia inclusa – rappresenta in ogni caso un incasso anche per Hamas, notano fonti politiche israeliane, illustrando la svolta repentina nel negoziato come il prodotto d’un incrocio di interessi ”a livello regionale” . Un riferimento alla situazione creatasi con la ‘primavera araba’ e la conseguente crisi nella relazioni fra Hamas e il regime di Bashar Assad in Siria, sommata al desiderio della giunta militare dell’Egitto del dopo-Mubarak di conseguire un successo diplomatico. Proprio al Cairo, stando a queste fonti, si sono giocate negli ultimi giorni le mosse decisive. Da parte di Hamas, d’altronde, ha pesato la necessita’ urgente di recuperare terreno dopo una fase di affievolimento del consenso interno a Gaza e in risposta al ritorno di fiamma della linea diplomatica del presidente moderato dell’Autorita’ palestinese (Anp), Abu Mazen, con la recente richiesta di riconoscimento d’uno Stato di Palestina all’Onu. Mentre per Israele – concludono le fonti – si e’ trattato di scegliere il male minore. E cogliere ”un finestra di opportunita”’ oltre la quale la vita di Shalit sarebbe stata ”lasciata in pericolo imminente”.L’accordo, mediato dall’Egitto e gia’ sottoscritto dai negoziatori delle tre parti, prevede la consegna di Shalit agli egiziani entro alcuni giorni in cambio di 1.027 detenuti, diversi dei quali condannati in Israele per gravi fatti di sangue. Ventesei ministri hanno votato a favore e solo tre si sono opposti. Contro l’intesa si e’ espresso in particolare il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman (Israele Beitenu, destra ultranazionalista), che aveva gia’ annunciato il suo ‘no’, seppure ”con il cuore pesante”, interpretando il possibile baratto come un ”cedimento al terrorismo”. Per il si’ ha votato invece fra gli altri il ministro della Difesa, Ehud Barak, dopo che a favore si erano espressi pure il capo di Stato maggiore, il direttore del Mossad (intelligence) e il numero uno dello Shin Bet (servizio di sicurezza interna). Quest’ultimo, Yoram Cohen, ha osservato che non c’erano margini realistici per un blitz in grado di portare alla liberazione di Shalit e che il negoziato (indiretto) e’ stato quindi un percorso obbligato. Nel contempo Cohen ha comunque tenuto a sottolineare che l’intesa non prevede impegni dello Shin Bet ad astenersi dal prendere di mira in futuro i detenuti scarcerati. Fuori dalle sedi politiche, l’accordo di scambio e’ stato intanto approvato come equo e moralmente giustificabile – in una nota congiunta – anche dai rabbini capo d’Israele: l’ashkenazita Yona Metzger e il sefardita Shlomo Amar.

 

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