Mentre il dibattito pubblico si accende ancora sulla questione delle coltivazioni transgeniche, la ricerca punta gia’ oltre e lavora su nuove biotecnologie che permettono di creare piante geneticamente modificate senza ricorrere all’inserimento in laboratorio di pezzi di Dna appartenenti ad organismi differenti.

Lo ricorda Michele Morganti, professore ordinario di genetica presso l’universita’ di Udine, in occasione di un incontro sugli Ogm organizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) all’orto botanico di Cascina Rosa a Milano. Da tempo ormai siamo portati a pensare che gli organismi geneticamente modificati siano figli di un ‘collage’ genetico in cui si uniscono frammenti di Dna di organismi differenti e a volte molto lontani fra loro. Nel futuro, pero’, potrebbe non essere piu’ cosi’. Le tecniche di transgenesi, che consistono nell’inserire geni di un organismo in un altro, potrebbero essere affiancate da nuovi metodi di modificazione genetica. ”Ci sono diversi modi per indurre modificazioni nel Dna”, spiega Morganti. ”Si possono usare agenti fisici, come le radiazioni ionizzanti, o agenti chimici, che vanno a sostituirsi alle normali basi del Dna, ma non solo. Si possono usare anche gli enzimi come le nucleasi, che sono in grado di tagliare il Dna in punti ben specifici”. Molti laboratori stanno gia’ studiando le tecniche migliori che permettono di fornire queste ‘forbici’ molecolari alle piante da modificare, cosi’ da renderle resistenti alla siccita’, ai parassiti e piu’ efficaci nell’uso dei fertilizzanti. ”E’ possibile introdurre le nucleasi direttamente all’interno di cellule coltivate in provetta da cui si sviluppera’ la pianta, oppure – precisa l’esperto – si puo’ generare una pianta transgenica in cui si induce la modificazione voluta grazie all’azione dell’enzima, e poi la si incrocia con una pianta normale per produrre una nuova piantina che non sara’ piu’ transgenica, perche’ non conterra’ Dna di altri organismi, ma che portera’ nel suo Dna la modifica desiderata”.

 

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