La Svizzera chiarisca a chi per legge e’ garantito l’accesso al suicidio assistito. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani in una sentenza di condanna emessa oggi. La decisione riguarda il ricorso di una donna, Alda Gross. Per anni aveva chiesto invano alle autorita’ di consentirle di accedere al suicidio assistito.
La Corte di Strasburgo nella sentenza odierna non e’ entrata nel merito della questione posta dalla signora Gross, ovvero se le autorita’ svizzere, negandole la possibilita’ di decidere come e quando mettere fine alla sua vita, abbiano violato il suo diritto al rispetto della vita privata sancito dall’articolo 8 della convenzione europea dei diritti umani. I giudici hanno invece stabilito che i diritti della ricorrente non sono stati rispettati a causa della poca chiarezza dell’attuale legge in vigore in Svizzera. Una norma che, per la Corte, non permette ai cittadini di sapere con esattezza quali sono i criteri che gli consentirebbero di accedere al suicidio assistito. Secondo l’Associazione Luca Coscioni, che il 4 maggio scorso ha avviato la raccolta delle firme per una proposta di legge per legalizzare l’eutanasia in Italia, sarebbero circa 30 gli italiani che ogni anno vanno in Svizzera per ricorrere al suicidio assistito, come fece Lucio Magri, fondatore del Manifesto, nel novembre del 2011. Gli ultimi casi riportati dalle cronache sono quelli dell’ex sostituto procuratore generale di Catanzaro, Pietro D’Amico, e di Daniela Cesarini, ex assessore ai servizi sociali del comune di Jesi. Entrambi hanno scelto una clinica di Basilea per mettere fine ai loro giorni.