NAPOLI – Gli ultimi passi della genetica sulla comprensione del Dna spazzatura, raccolti nel progetto Encode (Encyclopedia of Dna Elements), stanno portando a rivedere il concetto di gene: buona parte del Dna ritenuto ‘inutile’

risulta ora fondamentale nel controllo dei geni tridimensionali. Lo spiegano Paolo Vezzoni, direttore di ricerca dell’Istituto di Tecnologie Biomediche del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Itb), e Andrea Ballabio, direttore scientifico dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli. ”Il Dna e’ stato visto finora come un lungo filo dove si trovavano sequenze di ‘spazzatura, geni e i rispettivi interruttori”, ha spiegato Ballabio. ”Anche il gene – ha aggiunto – aveva una sua definizione con un inizio e una fine lineare, un tratto di filo che inizia e finisce, seguito poi da uno spazio vuoto. Ma i recenti progressi nel campo della genetica dimostrano che il Dna e’ una struttura tridimensionale molto complessa”. Un ruolo sempre piu’ importante nel funzionamento genetico e’ stato individuato in quella grandissima parte di genoma considerato fino a poco fa come vera e propria spazzatura e che risultava essere oltre il 90%. ”Fino a poco fa le sequenze di Dna erano divise in 3 categorie: quello codificante, che esprime proteine, non-codificante, che regola le funzioni dei geni, e la cosiddetta spazzatura, che si pensava non servisse a nulla”, ha proseguito Ballabio, anche docente all’Universita’ di Napoli Federico II. Negli ultimi anni si e’ scoperto che buona parte del Dna che era stato considerato spazzatura, assume in realta’ ha un’importanza fondamentale nei processi di regolazione della funzione dei geni. ”Gia’ ai tempi del Progetto Genoma – ha commentato Vezzoni, di cui fu vice coordinatore accanto al Nobel Renato Dulbecco – molti genetisti sospettavano che fosse assurdo pensare che oltre il 90% del genoma fosse inutile. Poi lentamente le ricerche hanno iniziato a dimostrare che eliminando queste parti si alteravano i meccanismi di funzionamento e poi sono arrivate a comprendere le funzioni di alcuni tratti”. I risultati pubblicati nell’ambito del progetto Encode, ha osservato, ”arrivano alla conclusione di un processo iniziato molti anni fa e che si pone l’ambizioso obiettivo di comprendere i meccanismi piu’ complessi nascosti nel Dna non-codificante”.

 

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