Sono le 7 di sera e i locali della parrocchia della chiesa di Villanova, nell’omonimo borgo di Posillipo, brulica di vita. Un via via di persona che smistano, organizzano, dividono e catalogano beni di prima necessita e pasti caldi che di lì a poco andranno a distribuire per le strade di Napoli. Sono “gli angeli di strada Villanova” ed ogni lunedì sera, da 4 anni a questa parte, vanno in giro per le strade del capoluogo campano a distribuire pasti caldi, coperte e quanto necessario per la sopravvivenza in strada ai numerosi senza tetto. Per la comunità di Sant’Egidio sarebbero circa 2000-2500 i senza fissa dimora nella sola Campania ma, come ci spiega Marcello, il presidente dell’associazione “Gli angeli di strada Villanova”, considerando le difficoltà nel fare un censimento preciso, questa cifra, probabilmente, non restituisce a pieno le dimensioni del fenomeno. Si tratta di tanti napoletani finiti in disgrazia o di extracomunitari che ormai hanno smesso di cercarla la strada del riscatto. Tutti, uniti in una grande famiglia di “senzaniente”, si riuniscono ogni sera nei vari punti di raccolta, ormai noti, per riscuotere il pasto quotidiano. Una specie di coordinamento evita che le varie associazioni si accavallino inutilmente nella raccolta e nella distribuzione di beni, così da coprire l’intera settimana e non lasciare buchi che, altrimenti, nessuno coprirebbe. Si tratta solo ed unicamente di assistenzialismo, difficile avere una programmazione che vada oltre la consegna di un pasto o di una coperta. Lo sa bene Marcello: “ questo è quello che possiamo fare, è difficile avere o dare prospettive a persone che, di fatto, restano agli occhi di tutti invisibili. La nostra non è certo una soluzione, è un continuo tamponare per evitare perdite ancor più gravi” Alcune delle persona che aiutiamo sono ormai perse nell’alcol e nel nulla che è il loro sopravvivere quotidiano, ma non per tutti è così. C’è chi, chissà come, riesce nonostante tutto ad avere ancora la voglia di rialzarsi. Ecco, per quelli proviamo anche a fare qualcosa in più. Magari li aiutiamo a cercare un monolocale e gli diamo il primo mese di affitto. Poi, però, torna tutto nelle loro mani, non abbiamo certo le risorse per sostituirci ad un welfare ormai inesistente. Aurelio è uno di quelli che a rialzarsi ci ha provato. Lo incontriamo a piazzale Tecchio, nel quartiere di Fuorigrotta, con il suo cane, una cucciolona piena di vita di 6 mesi che si chiama Bimba. Lui è un uomo sulla sessantina e, per strada, dormendo nella sua auto, ci ha passato quasi sette anni. Poi è stato arrestato per un reato che non aveva commesso ed una volta uscito dal carcere, assolto per non aver commesso il fatto, è tornato in macchina. Oggi vive in un basso ma non sa quanto durerà. Ci racconta di aver perso una figlia, di aver avuto problemi con la moglie e di come la vita gli si sia sgretolata un pezzo alla volta davanti agli occhi, senza che riuscisse ad accorgersene. “La vita in strada te la fai tu – ci racconta Aurelio – un’intera giornata è lunga da far passare. Gli Angeli di strada, che siano benedetti, vengono da noi solo la sera, e solo allora possiamo fare quattro chiacchiere e avere un pasto assicurato. Io per provare a guadagnare qualche euro faccio il parcheggiatore abusivo perché non so cos’altro fare. Farei qualsiasi cosa ma non me ne danno la possibilità. Con quello che faccio vado incontro a verbali ed anche a minacce da parte di chi vuole rubare o danneggiare la auto che mi prendo il compito di controllare. Io non mi ritengo abusivo, quello che faccio lo faccio in maniera onesta: se prendo l’impegno di “guardare” 50 macchine lo faccio sul serio. Aspetto che vengano a riprendersele i proprietari e non dico mai quanto devono darmi. Mi lasciano quello che vogliono e possono.” Alessio si avvicina a noi mentre Aurelio ha ormai finito di raccontarci la la sua storia. Ha l’aria assente ma interessata, ci da subito l’impressione di non starci più molto con la testa. Eppure qualcosa da dire ce l’ha. Ci racconta di venire dal Marocco, anche se il suo accento portoghese lascia intendere altro. Ma poco importa. Ci dice di essere in italia da 15 anni, che all’inizio stava bene, lavorava e guadagnava dignitosamente. Poi anche per lui è arrivata la crisi, si è ritrovato senza lavoro e senza permesso di soggiorno. “Ho versato anche tre milioni di lire di contributi – ci racconta – ma non mi è rimasto niente. Sono scappato dal mio paese perché c’era la guerra civile, non volevo ammazzare e non volevo essere ammazzato. Ora vivo in una casa abbandonata a Pozzuoli. Alessio ha solo 45 anni eppure parla come se ne avesse 80 e prima di salutarci ci lascia di stucco con una frase che, se dovesse mai succedergli qualcosa, dovrebbe essere usata come capo d’accusa verso chi l’ha costretto a questa non – vita. “È tutto finito, la giovinezza l’ho mangiata, non aspetto più niente, aspetto solo la morte adesso. È così”. E noi, ad Alessio, gli abbiamo creduto. Cosa può mai aspettare un invisibile senza casa né lavoro, probabilmente distrutto dall’alcol, senza parenti né amici, in un paese che non lo riconosce né come risorsa né come uomo? La morte.
Luca Leva
Giulia Ambrosio