“Guardarsi allo specchio e non riconoscersi è la cosa più difficile da affrontare”. Carla Caiazzo, la donna di 38 anni che lo scorso primo febbraio fu data alle fiamme dall’ex fidanzato Paolo Pietropaolo mentre era all’ottavo mese di gravidanza, richiama l’attenzione, nella Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, su un dato: l’identità che viene a mancare in una donna che subisce atti come il suo, che sfregiano, con cicatrici che resteranno, il volto, le mani. Il corpo, ma anche l’anima. Carla è intervenuta con una telefonata all’incontro, promosso dal Sindacato unitario giornalisti Campania, #Svergognati – Femminicidio e violenza sulle donne: tra comunicazione e informazione, promosso dal Sindacato unitario dei giornalisti Campania. “Chiedo scusa – dice – ma ho ancora molti limiti e non riesco a stare in mezzo alla gente”. Promette, però, che vincerà anche questa battaglia. “Ho dato vita a un’associazione per aiutare le donne che subiscono violenza – afferma Carla – ma devo esserci anche io in prima linea, questa battaglia non si combatte da dietro le quinte”. L’associazione si chiama “Io rido ancora”, un nome non scelto a caso, come lei stessa ha spiegato qualche giorno fa. Perché questa è la risposta che la donna ha voluto dare al suo ex che, mentre le dava fuoco, diceva: “Fammi vedere se adesso ridi ancora”. Carla e la bimba che portava in grembo, nata a poche ore dalla tragedia, oggi sono vive. Ma lei sottolinea: “Sono viva, ma uccisa comunque”. Si è già sottoposta a oltre 20 interventi chirurgici, altri dovrà ancora affrontarli per combattere le cicatrici che si porta addosso. Sono interventi che hanno un peso economico notevole che, al momento, la donna affronta da sola “con quello che posso, con le mie possibilità perché non c’è il supporto di enti pubblici o delle istituzioni”. L’Italia, è stato ricordato, è tra i Paesi membri che non ha ancora recepito una direttiva europea per l’istituzione di un Fondo per le vittime di violenza e lei chiede l’aiuto di tutti, per sé e per tutte le donne che hanno subito violenza, sfregiate da chi diceva di amarle. Ma l’amore non è violenza. “Serve anche il sostegno economico – conclude – perché è inverosimile che, per esempio, i miei concittadini abbiano organizzato una cena di beneficenza e chi invece è a capo delle istituzioni non abbia preso una iniziativa simile”