Più di 150mila morti. Ieri i dati diffusi dal ministero della Salute sull’andamento della pandemia in Italia hanno documentato un triste traguardo: dall’inizio dell’emergenza, nel nostro Paese le persone che hanno perso la battaglia contro il Covid sono state 150.122. Tantissime. È vero che la curva dei decessi è la più lenta a scendere, ma siamo ancora troppo in alto: l’Italia è la seconda in Europa per numero di morti, ed è il quarto Paese a livello mondiale, con oltre quattro morti ogni 100mila abitanti e oltre 1,2 milioni di contagi in 7 giorni, come emerge dall’ultimo bollettino dell’Oms. Una situazione che dovrà essere analizzata, ma che porta a farsi domande sull’efficacia del sistema di assistenza nazionale e territoriale. Per Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro della Salute, Roberto Speranza, i morti che si registrano ancora ogni giorno per Covid «sono tantissimi» e tra le cause ci potrebbe essere anche «la fragilità dell’assistenza sanitaria». Servono investimenti, che portino all’assunzione di nuovo personale e all’efficientamento delle procedure. D’altronde, «abbiamo un Servizio sanitario nazionale che è arrivato alla pandemia due anni fa in condizioni di debolezza assoluta nell’organico – ha sottolineato Ricciardi, ospite a Tagadà, su La7 – abbiamo 53mila infermieri in meno rispetto a quelli che servirebbero e 10mila medici in meno». Una carenza che si traduce in un servizio più scadente: «Significa che una persona anziana entra in ospedale e durante la notte è assistita da un infermiere invece che da 5 infermieri, da un medico invece che da 3 medici, è chiaro che la qualità dell’assistenza ne risente, anche se quei medici e quegli infermieri fanno tutto il possibile, a fronte di organici scarsissimi. La tempestività e la qualità dell’assistenza ne risentono».
Il consigliere di Speranza sostiene che «i soldi ci sono, li dobbiamo utilizzare», per una grande campagna di assunzioni. Gli investimenti sono necessari anche nella medicina territoriale, che comprende tutte quelle prestazioni di primo livello e pronto intervento preventive e alternative all’ospedalizzazione. Un sistema che ha dimostrato tutta la sua debolezza – soprattutto nella prima fase dell’emergenza, con la saturazione degli ospedali – e che dovrebbe venire riformato con i fondi del Pnrr. «Il Covid ha insegnato che gli ospedali sono importantissimi, ma che è fondamentale riuscire a creare una struttura in grado di assistere in modo diretto le persone, che sia più vicina ai cittadini – spiega Roberto Cauda, direttore di Malattie infettive al Policlinico Gemelli di Roma e docente dell’Università Cattolica – nel Lazio, per esempio, hanno questo scopo le Uscar, le Unità speciali di continuità assistenziale. È questa la medicina del futuro, che si è manifestata in tutta la sua importanza e carenza». Il bollettino quotidiano diffuso dal Ministero indica che in 24 ore si sono registrate 325 vittime, anche se in calo rispetto alle 384 del giorno precedente. Il monitoraggio della Fondazione Gimbe rileva inoltre che dal 2 all’8 febbraio non sono per niente diminuiti i decessi rispetto alle settimane precedenti: sono stati 2.587 (+0,2%). I numeri vanno letti in parallelo a un’altra circostanza non da poco: sono ancora oltre 7 milioni gli italiani non vaccinati, neppure con la prima dose, e si tratta soprattutto di over 50. Al 9 febbraio, l’85,4% della popolazione – sottolinea sempre Gimbe – ha ricevuto almeno una dose di vaccino e l’82% ha completato il ciclo vaccinale, ma 7,1 milioni di persone non hanno ancora ricevuto nemmeno una somministrazione. Si è inoltre registrato un -35,2% di vaccinazioni rispetto alla settimana precedente nella fascia 5-11 anni e un -41,6% tra gli over 50. Alla base dell’altissima mortalità italiana ci sono anche altri elementi: la demografia e la fragilità. «L’età media è elevata – sottolinea Cauda – e c’è un numero importante di over 50 non ancora vaccinati che molto spesso si oppongono anche al ricovero in ospedale, arrivando quando ormai è troppo tardi per poterli curare».