Le cure sperimentali contro il Covid-19 continuano a dare buoni risultati. Un altro paziente è guarito all’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta. Si tratta di un di 39 anni guarito dopo il trattamento con Remdesivir, un farmaco che, nei pochi casi in cui è stato utilizzato finora, ha dimostrato di essere efficace nella lotta contro il Coronavirus. È il primo trattamento concluso nel Sud. L’antivirale, messo a disposizione gratuitamente dalla casa farmaceutica produttrice Gilead, non è ancora in commercio.

In un’intervista rilasciata a Repubblica il professor Paolo Maggi, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive dell’ospedale casertano e docente dell’università Vanvitelli, spiega il caso del Sant’Anna e San Sebastiano: “Il paziente positivo al Covid-19 era ricoverato nel reparto di Rianimazione, è stato trattato per pochi giorni con Remdesivir, in combinazione con farmaci anti-hiv e antimalarici. Le sue condizioni sono migliorate, è stato estubato e si è negativizzato al tampone. È guarito, ma per la ripresa e le dimissioni ci vorrà ancora del tempo”. Alla domanda della giornalista, il professore spiega anche la differenza di trattamento tra il Remdesivir e il Tocilizumab. “Il Remdesivir è un antivirale ad ampio spettro che ha dimostrato di avere un’azione contro il coronavirus: cura l’infezione. Era stato testato per Ebola, Sars, Mers. Il Tocilizumab blocca la cascata immunitaria che il virus attiva: la malattia polmonare grave, infatti, non è dovuta tanto all’azione diretta del coronavirus quanto a una reazione del nostro organismo che determina una tempesta di sostanze infiammatorie all’interno del polmone, definita sindrome da rilascio citochinico. Il Tocilizumab inibendo una citochina chiave blocca la serie drammatica di eventi all’interno del polmone. Dei pazienti trattati con questo farmaco ne abbiamo dimesso uno, gli altri sono tutti in miglioramento e ci auguriamo di dimetterli a breve”. Poi l’ipotesi di estendere la somministrazione prima che si arrivi a condizione di salute critiche. “I farmaci non vengono somministrati a chi ha solo febbre, stiamo cercando di utilizzarli nelle fase iniziali della polmonite senza attendere che questa si scateni e il paziente vada in rianimazione. È importante aggredire il virus subito con tutto l’armamentario farmacologico a nostra disposizione, questa può essere la vera strategia”. Maggi ha aggiunto anche come si è arrivati all’intuizione del Remdesivir: “È stato utilizzato, anche se poco, nel Nord e rientra nelle linee guida della Società italiana di malattie infettive per il Covid – 19, che sono nate dall’esperienza importante e drammatica dei centri più colpiti del Paese. Quando ci si trova di fronte a una nuova malattia infettiva ci sono 2 fasi della sperimentazione: una d’urgenza in cui utilizziamo i farmaci che abbiamo a disposizione per altre malattie e che hanno dimostrato un’attività “in vitro” contro questo nuovo virus (la fase in cui ci troviamo ora). Poi c’è una seconda che richiede più tempo ed è quella in cui si costruisce un farmaco ad hoc”.

E la scelta della cura da usare: “Al caso clinico. La scelta si fa nel momento in cui si delinea un quadro polmonare che potrebbe evolvere in maniera drammatica. Utilizziamo i farmaci anti-Hiv e l’antimalarico che sono già in commercio e, dunque, più facili da ottenere, in combinazione con gli altri che per ovvie ragioni sono meno facili da reperire. Tocilizumab è prodotto in quantità limitate e sta scarseggiando, Remdesivir non è in commercio, ora non ne abbiamo ma la situazione potrebbe cambiare. Anzi ci auguriamo che cambi presto”. Le previsioni cautamente ottimistiche sulla curva dei contagi: “I casi continuano ad aumentare ma in modo lineare. Al momento non abbiamo superato i 160 contagi al giorno, quindi non è una crescita drammatica, anche perché va tenuto conto che sta aumentando il numero di tamponi. Speriamo di non avere uno tsunami e che, come alcuni modelli sembrano ipotizzare, a metà aprile inizi la discesa. Tutto dipende da quanto saranno attenti i campani a mantenere rigorosamente le distanze sociali: è la chiave per fermare il virus. In Cina sono riusciti con un rigore molto maggiore del nostro a fermare in 6 settimane l’epidemia e ora stanno affrontando i casi di ritorno, noi dobbiamo cercare di avere un simile comportamento e bisognerà poi fare molta attenzione perché la circolazione del virus non riprenda”. E le teorie sul clima caldo che potrebbe favorire un calo nella diffusione del virus: “Sono scettico, ricordo che l’epidemia Hin1 scoppiò in un caldo settembre, i nostri comportamenti sono decisivi, non le temperature”. Infine l’esperienza diretta coi pazienti ricoverati negli ospedali: “La paura c’è ma nella stragrande maggioranza di medici e infermieri non modifica i comportamenti. Il nostro dovere è curare i pazienti. La nostra generazione ha vissuto già questo momento con l’Aids negli anni ’80. Ho già provato questa sensazione, si riscopre il senso profondo della nostra missione: porsi al servizio del prossimo con tutti i mezzi. L’uomo che cura un altro uomo è il cuore della medicina. In quegli anni lottavamo per strappare anche un giorno in più al paziente perché poteva essere quello decisivo per farlo vivere e alla fine abbiamo vinto, i farmaci sono stati individuati. Anche questa volta ce la faremo”.

 

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