C’era un piano per gli immigrati di Castel Volturno, dall’acronimo piuttosto chiaro, “SVI”, che sta per Sfruttati, Vulnerabili, Irrimpatriabili, chiamato anche “Modello Caserta2” per distinguerlo dal primo basato sulla dislocazione di centinaia di militari sul territorio, concepito dopo la strage di San Gennaro del settembre 2008 per favorire l’emersione dalla clandestinità e soprattutto l’inserimento lavorativo e l’integrazione degli stranieri che già hanno un impiego ma senza contratto. Quel piano, pensato anche per Rosarno, siglato nel 2012 dal centro sociale casertano Ex Canapificio, sede del Movimento dei Migranti e dei Rifugiati, con il Viminale, la Prefettura di Caserta, il comune di Castel Volturno allora commissariato per camorra, e la Regione Campania, ha permesso di regolarizzare solo a Castel Volturno 800 immigrati, che hanno ricevuto il permesso di soggiorno annuale per motivi umanitari, poi però lo scorso anno è arenato. E oggi, dopo la due giorni di rivolta e blocchi a Pescopagano che ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica i contrasti mai sopiti tra la comunità nera e quella bianca in un territorio fortemente degradato e sottoposto da decenni al dominio della criminalità organizzata locale e africana, lo SVI drammaticamente torna d’attualità.
“La Regione – denuncia Mimma D’Amico del Centro Ex Canapificio – non ha attuato la parte di sua competenza concernente i corsi di formazione di sei mesi con retribuzioni minima che avrebbe dovuto permettere ai migranti regolarizzati di imparare qualche mestiere, per evitare che molti di loro tornassero a vendere ai semafori dopo aver avuto il permesso. Quello era un passo importante per iniziare una qualche forma di integrazione”. I fondi erano anche stati individuati tra quelli europei. “Ogni venti giorni – racconta la D’Amico – tenevamo riunioni al Viminale. Al Ministero ci dicevano che non potevano costringere la Regione Campania a fare i corsi”. La questione è che il permesso per motivi umanitari non prevede l’emersione lavorativa, così degli 800 immigrati regolarizzati, qualcuno che ne aveva la possibilità si è trasferito altrove, sia in Italia che Europa, altri però, senza alcuna formazione, sono stati costretti a tornare dai propri datori di lavoro dove lo sfruttamento è proseguito.