La giornalista e senatrice del Pd Rosaria Capacchione ha deposto oggi, in qualita’ di parte offesa, al processo per le intimidazioni subite da parte del clan dei Casalesi. Rispondendo alle domande del pm della Dda Antonello Ardituro, la Capacchione ha rievocato una lunga serie di minacce e avvertimenti mafiosi in conseguenza degli articoli sulle attivita’ delle potente cosca mafiosa, soffermandosi anche sui disagi per la sua vita sotto scorta da quando, nel marzo 2006, fu letta in aula, al processo di appello contro i boss del clan, una istanza di remissione in cui si puntava l’indice contro la Capacchione, lo scrittore Roberto Saviano e alcuni magistrati antimafia.

”’E’ stata una delle poche volte che mi sono spaventata davvero. Quando ho letto che mi attribuivano la responsabilita’ dell’esito dei processi ho pensato: e’ arrivato il momento che mi ammazzano”, ha detto la senatrice.   Al centro del processo – per minacce rivolte alla Capacchione, allo scrittore Roberto Saviano e a diversi magistrati antimafia – proprio un’iniziativa dell’avvocato Santonastaso che il 20 marzo 2008, al dibattimento di appello contro i boss della cosca, parlando a nome dei due camorristi, chiese la remissione del processo per legittimo sospetto puntando l’indice contro Capacchione. In sintesi nella lettera si attribuiva agli articoli della giornalista e alla regia dei magistrati il destino giudiziario dei Casalesi, arrivando al punto di insinuare che il processo era stato sottratto a un giudice garantista per colpa della cronista. ”E’ stata una delle poche volte che mi sono spaventata davvero. Quando ho letto che mi attribuivano la responsabilita’ dell’esito dei processi ho pensato: e’ arrivato il momento che mi ammazzano”, ha detto la senatrice rispondendo alle domande del pm della Dda Antonello Ardituro. Una situazione di rischio apparsa ancor piu’ concreta quando, pochi mesi dopo, ebbe inizio la fase piu’ acuta della strategia stragista di una fazione dei Casalesi – il gruppo Setola – con l’uccisione di collaboratori di giustizia, attentati ai loro familiari e l’eliminazione di imprenditori che avevano testimoniato, anche diversi anni prima, contro gli esponenti del clan. Le domande del pm Ardituro hanno riguardato le tante intimidazioni che la giornalista ha subito nel corso della sua attivita’, sia prima sia dopo la lettura in aula della lettera del duo Iovine (all’epoca latitante)- Bidognetti. La giornalista ha ricordato di quando il capo dei capi, Francesco Schiavone detto Sandokan, le telefono’ in redazione minacciandola di gambizzarla se non avesse smesso di scrivere sul suo conto. Ha accennato agli insulti che le venivano rivolti nei corridoi del Tribunale dai familiari degli imputati durante le pause dei processi. E a uno strano furto avvenuto nella sua abitazione a Caserta dove i ladri non toccarono i soldi o gli oggetti di valore ma si impossessarono soltanto di una targa che le era stata consegnata da Rita Levi Montalcini. Fino alla decisione, all’indomani della istanza di remissione del processo ”Spartacus”, di assicurarle la protezione da parte delle forze dell’ordine: ”Da allora – ha detto – non sono piu’ padrona della mia vita”.

 

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