“Tutte le volte che ho visto Giuseppe Setola non ho percepito che avesse difficoltà a muoversi a causa di problemi agli occhi”. E’ quanto ha dichiarato nell’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere il sottufficiale dei carabinieri Gianluca Di Giuseppe, sentito questa mattina al processo che vede imputato l’oculista di Pavia Aldo Fronterrè insieme all’ex capo dell’ala stragista dei Casalesi Setola. Il medico è accusato di concorso esterno in associazione camorristica e false attestazioni all’autorità giudiziaria in relazione alle presunte false certificazioni mediche che, nel 2008, permisero al killer, a causa di malattia all’occhio destro che per l’accusa non ci sarebbe mai stata, di ottenere i domiciliari in un’abitazione nei pressi della clinica Maugeri di Pavia dove si sarebbe dovuto curare; il 18 aprile dello stesso anno, però, Setola evase dalla clinica, dando inizio alla stagione del terrore nel Casertano che causò 18 morti, tra cui i sei immigrati africani uccisi nella strage di Castel Volturno. Già il 9 marzo scorso il consulente della DDA di Napoli Mario Stirpe, sentito al processo, aveva dichiarato che “Setola aveva solo una maculopatia traumatica all’occhio sinistro”. “Non sono un esperto – ha detto oggi Di Giuseppe rispondendo alle domande del pm della DDA Alessandro Milita – ma credo non avesse problemi di vista anche perché quando lo catturammo Mignano Montelungo (14 marzo 2009, ndr) Setola mi riconobbe e tentò di scappare sui tetti con agilità”. L’investigatore che ha indagato a lungo sui delitti di Setola ha poi ricordato quando, durante la caccia al killer, fu intercettato il cognato della moglie di Setola, Luigi Martino, che, parlando dei 6 africani uccisi a Castel Volturno li definì “sacchi di carbone”.