Gli presero il microfono e non volevano restituirglielo: per questo Raffaello, il neomelodico di Gomorra, andò in macchina, impugnò una pistola, entrò nel ristorante e fece fuoco. Sparò all’impazzata, secondo quanto ha ricostruito la polizia, ma ferì un cameriere che in quella lite scoppiata per ragioni assurde nessuna parte aveva avuto. Il giovane, centrato ad un braccio, andò in ospedale, raccontò che era stato colpito da una pallottola vagante mentre percorreva via Appia, a Teverola, ma nessuno gli credette. La polizia, infatti, in quel periodo stava intercettando un gruppo di pusher e quella vicenda, i veri motivi del ferimento, vennero fuori da alcuni dialoghi registrati e ascoltati dalla polizia. Partirono anche alcuni avvisi di garanzia per favoreggiamento, nei confronti dei testimoni della sparatoria che si ostinavano a nascondere la vicenda e, con il rischio di un’incriminazione penale che incombeva su di loro, le lingue si sciolsero. Da ieri i racconti della notte pazzesca di Teverola, quella tra il 19 e il 20 giugno scorsi, sono, nero su bianco, scheletro dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere spiccata dal gip Rabuano del tribunale di Napoli Nord nei confronti di Raffaele Migliaccio, alias Raffaello (difeso dall’avvocato Gandolfo Geraci). Il giudice, nel disporre i domiciliari, ha concesso all’artista la possibilità di continuare a tenere concerti: in pratica Raffaello potrà uscire di casa per cantare. Da Casoria a «Rolling Stone», rivista che gli dedicò un servizio, assieme all’altro cantante di grido del momento – era il 2008 – Alessio, alla colonna sonora del film «Gomorra», con il brano «La nostra storia», fu una parabola ascendente che sembrava inarrestabile, ma dalla gloria, al fango, il passo è stato breve. Da qualche anno, infatti, più che per le hit musicali, il neomelodico balza periodicamente agli onori della cronaca per i colpi di testa. Ultima, la sparatoria nel ristorante di Teverola, ricostruita per vie accidentali dagli agenti del commissariato di Aversa (diretti dal vicequestore Paolo Iodice) e cristallizzata da ieri in un’ordinanza di custodia cautelare che ha spedito l’artista in cella, a Santa Maria Capua Vetere, per due giorni, fino alla convalida (ieri a mezzogiorno), all’emissione dell’ordinanza e al trasferimento ai domiciliari, a Casoria. Secondo quanto si evince dagli atti, la sera del 19 giugno, Raffaello litigò con alcuni esponenti di un gruppo criminale vicino agli Schiavone. Si sa che nel ristorante stavano cenando Giuseppe Russo, nipote ed erede del capoclan Andrea Autiero del clan «degli scusuti», e il suo guardaspalle, Manuel Verde, che il mese successivo sarebbero finiti in manette assieme ad altre otto persone per droga. Con tutta probabilità, la lite tra i due presunti camorristi di Aversa e il cantante sorse per motivi connessi proprio alla droga, ma di questo non c’è prova. Si sa solo che a un certo punto della serata qualcuno sottrasse il microfono al neomelodico, che in quel frangente avrebbe dovuto esibirsi, e che tanto bastò a fargli perdere il controllo. Zittito prima della performance canora, Raffaello decise di reagire. Uscì in strada e si armò – la pistola ce l’aveva in macchina – e sparò una raffica di colpi. Ci andò di mezzo il cameriere, che però coprì fino all’inverosimile sia il suo mancato assassino che i veri obiettivi di quel raid. Da ieri è tutto chiaro, almeno secondo il gip, e Raffaello è stato arrestato con le accuse di tentato omicidio, porto e detenzione illegale di arma da fuoco. La polizia sta cercando i suoi complici: a quanto pare, dopo la sparatoria, due ragazzi lo aiutarono a fuggire. È la seconda volta che Raffaello finisce in manette nel giro di pochi mesi. Ad aprile, a Poggioreale, il cantante tentò di corrompere degli agenti offrendo loro 400 euro. In macchina aveva una dose di hashish. Prima ancora – era il 2011 – era stato fermato per una rissa.

 

 

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