Condannato all’ergastolo per aver bruciato vivo un imprenditore che si rifiutava di pagare il pizzo ma dopo ventisette anni di reclusione può lasciare il carcere. E’ quanto disposto dal Tribunale di Sorveglianza di Roma nei confronti di Francesco Landolfo, ex ras del dissolto clan Morelli di Casandrino dopo aver esaminato l’istanza presentata dai suoi difensori di fiducia, gli avvocati Luigi Senese e Andrea Di Lorenzo. I due penalisti, infatti, avevano rilevato come, sebbene il loro assistito fosse sottoposto al regime dell’ergastolo ostativo, tuttavia, l’impossibilità di collaborare con la giustizia unita alla irreprensibile condotta che aveva tenuto nel corso della lunga detenzione fossero condizioni sufficienti per far venire meno l’impossibilità di accedere ai benefici di legge. Una tesi accolta dall’organo giudicante che, quindi, ha disposto che Landolfo potesse godere della semilibertà. Una vicenda orribile quella che vide coinvolto il vecchio ras e che risale al lontano 6 maggio del 1993. Luigi Caiazzo, questo il nome della vittima, era un imprenditore di quarantotto anni che aveva deciso di ribellarsi alle angherie della camorra. Residente nel comune di Casandrino, nella periferia nord di Napoli, Caiazzo, per mesi, era stato costretto a piegarsi alle pressanti richieste estorsive della cosca locale che, all’epoca, era guidata dal boss Domenico Morelli. Quando, però, gli esattori dell’organizzazione iniziarono a pretendere sempre più soldi, Caiazzo si rifiutò di pagare. Un rifiuto che, però, avrebbe pagato caro. Il sodalizio, nato all’ombra della famigerata Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo, non poteva permettere che una delle sue vittime alzasse la testa e, per questo, la condannò a morte. L’omicidio di Caiazzo, tuttavia, doveva essere anche un esempio per tutti gli altri. Per questo la sua esecuzione doveva essere eclatante. I killer della camorra lo bloccarono mentre era alla guida della sua Opel e, dopo averlo cosparso di benzina, gli diedero fuoco. Inutile il tentativo di Caiazzo di abbandonare il veicolo sfondando i finestrini. L’uomo, trasformato in una torcia, fu soccorso da alcuni passanti e immediatamente trasferito in ospedale. La gravità delle ustioni, però, obbligarono i medici a spostarlo in un reparto specializzato in Puglia come estremo tentativo di salvargli la vita. Tuttavia, dopo poche ore dal suo arrivo a Brindisi, l’imprenditore morì. Le indagini puntarono immediatamente sul sodalizio Morelli e, in particolare, su un giovanissimo componente del commando che era stato notato da alcuni testimoni acquistare una tanica di benzina poco prima dell’omicidio. E’ lui il primo a finire in manette. Quindi è la volta di Landolfo che viene condannato al carcere a vita. Nel frattempo, il clan Morelli si sgretola. Ras e gregari sono spazzati via dalle inchieste. Ed è su questo particolare che si basa la tesi difensiva degli avvocati di Landolfo. Anche volendo, il loro assistito, non potrebbe fornire informazioni utili alla giustizia perché tutti i fatti a lui conosciuti sono stati già svelati dalle indagini. Landolfo, inoltre, è un detenuto modello come confermato dalle relazioni della polizia penitenziaria e questo gli ha già consentito di usufruire di permessi premio. Una prima istanza per la semilibertà è, però, rigettata. Una decisione contro cui ricorrono in Cassazione i suoi difensori. Annullamento con rinvio la decisione degli ermellini che apre le porte a un nuovo giudizio che, questa volta, si conclude in maniera favorevole. A Landolfo, trasferito in un penitenziario della Campania, viene concessa la possibilità lavorare nelle ore diurne e di fare ritorno in carcere solo per dormire.

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