Il Covid torna alla ribalta della cronaca non per i vaccini, ma per un’inchiesta sull’adozione delle misure anti-contagio nella clinica Villa Margherita nel periodo iniziale della pandemia. Inchiesta che vede 4 indagati. È giunto, infatti, l’avviso di conclusione delle indagini per Stefano Garelli, ad e rappresentante legale della società Casa di cura privata Villa Margherita srl, Stefano Nordera, direttore di sede della struttura beneventana, Claudio Di Gioia, direttore sanitario, e Alessandro Ciarimboli, primario di Riabilitazione, Neurologia e Ortopedia. A tutti, in rapporto alle varie mansioni che avevano nella struttura sanitaria di Piano Cappelle, alla periferia della città, al momento dei fatti, vengono contestati le ipotesi di reato di epidemia colposa, omicidio colposo e lesioni colpose. Ai quattro indagati si aggiunge la società nella persona del legale rappresentante. Le indagini, condotte dai carabinieri del comando provinciale, sono state coordinate dal procuratore Aldo Policastro e dai sostituti Francesco Sansobrino e Maria Colucci. Nel periodo Covid nella struttura sanitaria si registrò un consistente numero di degenti contagiati, alcuni dei quali poi deceduti. Da qui polemiche, denunce e ora una prima decisione della magistratura. Le inadempienze degli operatori della struttura, secondo l’accusa, partono dal 16 marzo del 2020 quando «era agevolmente percepibile con l’ordinaria diligenza il rischio della possibile diffusione all’interno della struttura sanitaria dell’infezione Covid». In quel giorno, infatti, 5 degenti nei reperti di riabilitazione neurologica e ortopedia tra il primo e il secondo piano manifestarono sintomi già in quel momento riconducibili al coronavirus. Inoltre l’Oms già aveva dichiarato lo stato di pandemia mondiale. Nonostante ciò ci fu la presunta violazione delle disposizioni vigenti all’epoca e la mancata adozione di provvedimenti contro il propagarsi e la diffusione del contagio, che avrebbero provocato poi l’infezione di 17 pazienti, tre dei quali deceduti, nella clinica.

Tra il 24 e il 27 marzo 2020 ottanta persone, tra pazienti e personale, risultavano essere positive al Covid. In particolare vi sono state indagini per tre decessi di ricoverati, due donne e un uomo, avvenute nel mese di aprile. A Garelli, viene addebitato anche il reato di calunnia perché al fine di conseguire l’impunità presentava, il 29 marzo del 2020, presso la stazione carabinieri di Benevento una denuncia-querela in cui accusava falsamente, pur sapendola innocente, una donna della diffusione di notizie false e tendenziose, procurato allarme e diffamazione. La donna, poi identificata, aveva diffuso un audio sui social in cui si affermava che a Villa Margherita vi era un focolaio epidemico. L’inchiesta aveva visto nel 2020 il sequestro dei computer in dotazione alla struttura sanitaria da parte dei carabinieri. Inoltre la Procura ha conferito l’incarico di consulenti su oltre duecento cartelle cliniche al medico legale Emilio D’Oro e ai docenti di Igiene e sanità pubblica Guido Maria Grasso e Marcello D’Errico, delle Università del Molise e delle Marche. Gli indagati, difesi dagli avvocati Luigi Ferrante, Vincenzo Regardi e Paolo Piccialli, hanno venti giorni a disposizione per chiedere di essere interrogati e produrre memorie. Così il legale Regardi: «Esaminerò gli atti e deciderò se chiedere di interrogare il mio assistito. Appare evidente che in quel periodo di pandemia, eravamo a marzo 2020, c’era una grande confusione a livello nazionale e quindi non era facile decidere il modo migliore per evitare tragiche conseguenze. All’epoca non c’erano ancora i vaccini». Intanto, Cgil, Cisl e Uil hanno dichiarato lo stato di agitazione dei dipendenti di Villa Margherita che hanno inviato una nota al prefetto Carlo Torlontano, al governatore Vincenzo De Luca e al digì dell’Asl Gennaro Volpe. I sindacati chiedono l’apertura di un tavolo di conciliazione. In una nota affermano che i dipendenti sono sotto organico e sono costretti a subire carichi di lavoro insopportabili. Lamentate una continua mobilità tra le varie unità operative e il mancato confronto con i sindacati.

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