A differenza dei “volenterosi” Francia e Gran Bretagna, l’Italia non intende per adesso inviare i propri militari in Ucraina per garantire la pace. Ma Roma si prepara comunque a contribuire a quello sforzo collettivo a difesa di un eventuale (e per ora lontano) accordo di pace tra Mosca e Kiev. Si prepara a farlo con uomini delle proprie forze armate. Nel corso degli ultimi giorni, si apprende infatti da fonti qualificate, il governo di Giorgia Meloni ha comunicato agli alleati di essere disponibile a schierare i professionisti della marina e dell’esercito per le obbligate operazioni di sminamento delle acque e dei territori ucraini.
È una disponibilità ancora soltanto teorica perché, come detto, proprio in queste ore una tregua sembra in realtà allontanarsi. In ogni caso, Palazzo Chigi ha aperto a questa collaborazione nel corso delle ultime riunioni tra partner occidentali: quelle riservate ai consiglieri per la sicurezza nazionali (Nsa), alle Difese e agli Stati maggiori dei paesi alleati. Ieri inoltre, a sentire Antonio Tajani, la questione sembra essere stata accennata anche nel corso del G7 dei ministri degli Esteri: «Noi — ha detto — non siamo per inviare truppe, ma potremmo dare un contributo importante con la grande esperienza che abbiamo nello sminamento marittimo e terrestre. Si sono fatti passi in avanti, anche dal punto di vista del coordinamento, su questa ipotesi». È un segnale pesante. Di cooperazione con gli alleati, francesi inclusi, dopo le polemiche delle ultime ore.
L’Italia, è noto, è in grado infatti di schierare navi caccia-mine e fregate di supporto, necessarie per “ripulire” le acque. E può sfruttare gli esperti dell’esercito per fare lo stesso nei territori minati. Non è la prima volta che se ne parla, perché già nel giugno del 2022 l’allora premier Mario Draghi offrì la disponibilità della marina italiana a sminare le rotte per i cargo di grano lungo il Mar Nero. In quel caso, l’eventuale impegno sarebbe stato circoscritto. Stavolta è sul tavolo un’operazione assai più ambiziosa, vista che altri tre anni di guerra hanno letteralmente sommerso l’Ucraina di ordigni e reso questa una delle sfide più impegnative dal secondo conflitto mondiale ad oggi. Se si considerano le mine anti-carro, anti-uomo e gli ordigni inesplosi, viene stimato che il 30% del Paese vada sottoposto a una bonifica. Serviranno almeno cinquemila uomini (inviati da diversi governi amici) — ipotizzano gli ucraini — e un impegno lungo decenni.
E non è finita qui. Roma, si apprende dalle stesse fonti, è pronta ad aiutare gli alleati fornendo anche intelligence e l’impegno dell’aeronautica italiana per le operazioni di air policing. Si tratta del controllo dello spazio aereo, fondamentale per assicurare all’Ucraina la sicurezza dei cieli, visto lo squilibrio tra Kiev e Mosca su questo terreno. Nelle stesse riunioni, il governo italiano ha invece chiuso alla possibilità di schierare propri soldati sul terreno. È uno dei nodi che divide in queste ore Roma da Parigi, come dimostra anche la protesta formale dell’Eliseo per le parole di Matteo Salvini su Emmanuel Macron (ieri si rincorrevano voci di una telefonata tra la premier e il presidente francese). Questa, però, finché non sarà davvero raggiunta una tregua: dovesse davvero prendere forma una forza internazionale di pace, sarebbe difficile in prospettiva per Meloni tenere fuori i carabinieri (già impiegati in numerosi missioni di pace all’estero) dalle operazioni in Ucraina.












