“Perdonaci tutti Giogiò, perché quella mano l’abbiamo armata anche noi, con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – che camminano armati, come in una città in guerra”. Lo ha detto il vescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, nel corso dell’omelia per i funerali di Giovanbattista Cutolo. “Giogiò, fratello e figlio mio, prega per questa tua città ferita, per questa nostra amata Napoli che – ha proseguito – come una madre negligente non ha saputo custodirti e difenderti. Prega per lei e rendi inquiete le notti di chi, anche come me, in vari ambiti, livelli e ruoli, occupa posti di responsabilità: che la tua dolce musica divenga per tutti noi uno squillo potente capace di destare i nostri cuori assopiti e di restituirci al nostro compito più urgente: disarmare Napoli, educare Napoli, amare Napoli!”. “Sì, amare Napoli, Volere il bene di Napoli, realizzare il sogno di Dio per questa città”, ha detto ancora mons. Battaglia, interrotto dagli applausi. “Donare il proprio tempo, condividere cuore ed energie, passione ed entusiasmo affinché le pistole si trasformino in posti di lavoro, i coltelli in luoghi educativi, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie, concerti, arte, vita” “Giovanbattista, figlio di Napoli – ha detto ancora il vescovo – accetta la richiesta di perdono della tua città. Accetta le scuse, forse ancora troppo poche, di coloro che si girano ogni giorno dall’altra parte, che pur occupando incarichi di responsabilità hanno tardato e tardano a mettere in campo le azioni necessarie per una città più sicura, in cui tanti giovani, troppi giovani perdono la vita per mano di loro coetanei”. “Perdona – ha aggiunto – tutti gli adulti di Napoli, coloro che dimenticano che i bambini, gli adolescenti, i giovani sono figli di tutti e tutti devono prendersene cura”, di fronte “a una deriva fatta di egoismo e di indifferenza, di individualismo e narcisismo, secondo cui è importante ritagliarsi il proprio posto al sole senza curarsi invece di chi cresce e vive nell’ombra del malaffare, del disagio, della criminalità”. Il vescovo ha chiesto perdono pure per se stesso, “perché sono colpevole anche io”, ha detto. “Ho cercato di adoperarmi con tutto me stesso, di appellarmi alle istituzioni locali e nazionali, alla buona volontà di tutti ma evidentemente non è bastato, forse avrei dovuto non solo appellarmi ma gridare fino a quando le promesse non si fossero trasformate in progetti e le parole e i proclami in azioni concrete. Perdonami se non ho gridato abbastanza, perdona me e la mia Chiesa se quello che facciamo, pur essendo tanto, è ancora poco, troppo poco”.

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