“L’Iran è rimasto completamente impotente mentre Israele ha bombardato le sue basi strategiche come e dove voleva”. L’ex generale Yisrael Ziv offre la chiave per capire cosa è successo nei cieli della Repubblica Islamica. Le Israeli Defense Forces hanno imposto la loro supremazia aerea sugli ayatollah, impedendogli di compiere qualsiasi mossa per reagire al più grande attacco mai realizzato dall’aeronautica dello Stato ebraico. In due ondate principali cento velivoli F35, F16 e F15 si sono accaniti contro le installazioni militari più importanti. Le raffiche di mitragliera che hanno solcato la notte di Teheran sono state il simbolo della debacle del sistema di difesa. I dettagli dell’operazione sono ancora coperti dal segreto e ci sono poche indiscrezioni per cercare di ricostruire come si sia articolata la ritorsione israeliana. Non si può escludere che alcune delle centrali di controllo della contraerea siano state preventivamente mandate in tilt da un cyberattacco, innescando virus informatici inseriti settimane o mesi prima nei computer dei posti di comando. Poi all’ora X alcuni bireattori Gulfstream identici a quelli usati per i viaggi dei vip hanno cominciato a “sparare” impulsi elettromagnetici contro i radar e le antenne di comunicazione iraniane: una dimostrazione di quanto siano avanzate le capacità delle Idf nel settore della “guerra elettronica”. Nel giro di pochi minuti sugli schermi degli avversari è sceso il buio e anche la trasmissione di dati con le batterie missilistiche russe SA300 a cui era affidata la protezione della capitale e delle installazioni più preziose si è interrotta. Un isolamento totale ha spezzato la rete delle forze armate iraniane e dei Guardiani della Rivoluzione: a quello che si sa, non un solo intercettore è decollato per affrontare le squadriglie in arrivo. All’ora X più cinque minuti sono arrivati i “rapaci”. I cacciabombardieri israeliani hanno evitato di fare il pieno di carburante in volo dai colossali quadrireattori cisterna che avrebbero potuto tradire la rotta degli incursori. Potrebbero invece avere utilizzato una tecnica antica chiamata buddy-buddy in cui un caccia ne rifornisce altri, mantenendo così un profilo radar difficile da individuare. I primi a colpire sarebbero stati proprio gli F35, i celebri stealth costruiti in modo da lasciare una traccia minima e dotati di possenti contromisure. Ma sia loro che gli F15 e gli F16 avrebbero lanciato le loro armi devastanti restando fuori dai confini iraniani, come già era avvenuto nel precedente raid del 18 aprile. Anche sull’arsenale elaborato dall’aviazione israeliana per la resa dei conti con gli ayatollah c’è una cortina di riservatezza: molti ipotizzano che siano stati progettati strumenti speciali per affrontare le strutture fortificate sotterranee dei Pasdaran. Di sicuro è stato impiegato il missile Rocks, in servizio da cinque anni e sulle cui prestazioni non è stato rivelato quasi nulla. Ha un sistema di guida autonoma che lo dirige sui bersagli e un raggio d’azione molto esteso: i jet possono sganciarlo e allontanarsi prima che il nemico lo possa individuare.

Il primo scaglione dei caccia si è concentrato nello spazzare via antenne radar e batterie missilistiche, in modo da cancellare definitivamente lo scudo iraniano. Stando all’opposizione agli ayatollah, poco lontano dall’aeroporto internazionale di Teheran è stato distrutto uno dei sistemi russi S-300PMU2; altri due sarebbero stati colpiti a Shiraz e nell’area di Bassora cancellando la componente più avanzata della contraerea. Non esistono più ostacoli ai raid dal cielo. Come ha detto il portavoce delle Idf, il contrammiraglio Hagari: “Adesso Israele ha una più larga libertà d’azione anche all’interno dell’Iran”. La seconda ondata sarebbe andata invece a smantellare le fabbriche e i depositi dei missili balistici, compito che sarebbe stato affidato soprattutto agli F15 Eagle. Si tratta delle basi che hanno permesso l’assalto del primo ottobre e che costituiscono la “proiezione di potenza” dell’autodefinito “Asse della Resistenza” guidato da Teheran: gli ordigni che permettono agli Hezbollah libanesi e agli Houti yemeniti di minacciare Tel Aviv, Haifa e le altre città israeliane. Fonti dell’amministrazione Biden hanno fatto sapere che gli attacchi sono stati “vasti, mirati e precisi”, tutti contro obiettivi militari. In pratica, quello che la Casa Bianca chiedeva per contenere il rischio di un’ulteriore rappresaglia degli ayatollah: niente bombe sui laboratori nucleari e suoi depositi di petrolio. Stando alle prime notizie, sarebbe andata proprio così. Bisogna ora capire se questo basterà a interrompere il vortice di violenza che rischia di allargarsi e travolgere tutto il Medio Oriente, dalle coste del Mediterraneo ai monti dell’Afghanistan.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui