Gli indizi che collegano Elso Baschini all’aggressione del 4 novembre scorso contro l’arcivescovo di Firenze, monsignor Giuseppe Betori e il suo segretario, don Paolo Brogi, secondo gli inquirenti sono molti. L’uomo, 73 anni, fermato la notte scorsa, dopo un lunghissimo interrogatorio, con l’accusa di essere l’aggressore (il gip deciderà entro lunedì la convalida del fermo) da tempo faceva sopralluoghi intorno alla curia, come hanno provato alcune foto del portone posteriore trovate su uno dei suoi cellulari.

Ma anche nella perquisizione di ieri mattina non è stata trovata la pistola calibro 7,65 con la quale ferì don Paolo all’addome. L’altro punto interrogativo resta il movente: se non è esclusa la pista della rapina, visti i suoi precedenti specifici, gli investigatori, coordinati dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi e dal pm Giuseppina Mione, titolare dell’inchiesta, non escludono quella di una “vendetta” o di una “rivendicazione” contro la Chiesa, ambiente che l’uomo frequentava. Aveva conosciuto bene don Danilo Cubattoli, don Cuba, il “prete dei carcerati” morto nel 2006, di cui si è detto un “discepolo”.

Nella sua stanza, in via dell’Argingrosso a Firenze dove Baschini, nato a Udine e residente presso la Caritas di Orvieto (Terni), è domiciliato gli inquirenti oltre a santini e libretti per i canti, hanno trovato una spatola da muratore sporca di terra. L’attrezzo potrebbe essere servito per sotterrare l’arma. Del resto Baschini, nella sua lunga “storia” criminale iniziata con una rapina negli anni Sessanta a Firenze (venne esplosa anche una bomba), è stato quasi sempre collegato a una pistola di questo calibro. Il presunto aggressore, che viveva con una pensione di poco inferiore a 500 euro mensili, è rimasto sorpreso quando nel cellulare sono state trovate 4 foto del portone della curia, lo stesso da lui utilizzato per entrare nell’androne dietro all’auto dell’arcivescovo. Forse era convinto di averle cancellate tutte.

Così come aveva cercato di far perdere le tracce cambiando completamente il suo aspetto, tingendosi i capelli e tagliandosi barba e baffi. Sapeva come muoversi: negli anni ’80, evaso dal carcere di Rimini, aveva vissuto da latitante per quasi un anno. Cosa che ha spiegato agli inquirenti come la sera dell’agguato sia riuscito a sfuggire a tutte le telecamere della zona vicina all’arcivescovado, “sapeva bene come muoversi”, ripetono. Al numero verde, attivato dalla questura dopo la diffusione dell’identikit ricostruito dalla polizia scientifica, su di lui, secondo quanto si è appreso non sarebbe arrivata nessuna segnalazione.

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui