Una protesta disperata, anzi “Disposta a tutto” come recitano le maglie degli operai dell’Alcoa. Una protesta oggi sbarcata a Roma con un duro bilancio: scontri, lanci di bombe carta senza sosta e una ventina di contusi. La rabbia dei lavoratori e la protesta dei caschi, sbattuti a più riprese, ha invaso la Capitale col corteo dei lavoratori sardi che oggi hanno manifestato davanti al ministero dello Sviluppo Economico contro la chiusura della fabbrica. Pochi ma rumorosi.
Tra loro anche i minatori del Sulcis e gli stessi sindaci del territorio, sono arrivati all’alba a Civitavecchia e a Fiumicino per poi confluire nella Capitale. Con loro hanno portato il simbolo della protesta della giornata: i ‘provini’, dischetti in alluminio prodotti nello stabilimento per l’analisi del materiale in laboratorio. Carico di alluminio, ma anche di bombe carta, petardi, fumogeni e razzi, il breve corteo ha raggiunto nella mattinata via Molise, dove si trova il dicastero, in un’area blindata e presidiata da un folto numero di forze dell’ordine. Qui sono cominciate le tensioni: dopo aver fronteggiato in diversi punti i cordoni della polizia e della Guardia di Finanza, tentando di ‘sfondarli’ per proseguire il corteo all’interno della città, gli operai hanno tentato di raggiungere via Veneto cercando di violare lo sbarramento. E qui sono scoppiati gli scontri. Lanci di bombe carta, bottigliette d’acqua piene e dischetti di alluminio da parte dei manifestanti e qualche breve carica da parte delle forze dell’ordine. Il bilancio finale è di una ventina di feriti tra cui 14 uomini di Polizia, Carabinieri e Gdf. Qualche minuto prima l’esponente del Pd, Riccardo Fassina, era stato aggredito dagli operai mentre rilasciava un’intervista e costretto ad abbandonare la manifestazione a cui stava aderendo. Spintonato al grido di “Bastardi, ci avete deluso”. Facce digrignanti, urla e gesti di rabbia. La disperazione dei lavoratori sardi, dai ventenni ai meno giovani, in alcuni momenti è esplosa come una furia. Una guerra di nervi a cui gli operai di Portovesme sono abituati, con il tam-tam ipnotico e assordante dei tamburi, le trombe e i caschi sbattuti dagli operai in terra e contro le saracinesche di negozi chiusi, razzi lanciati in aria in segno di ‘allarme’, fumogeni. E un innumerevole quantità di bombe carta lanciate, alcuni delle quali verso la sede del ministero: una ha perfino superato la cancellata all’entrata ed è esplosa nell’atrio senza infrangere per fortuna la porta di vetro. Il tutto in attesa dell’esito dell’incontro dei delegati dei sindacati dello stabilimento, le istituzioni del territorio e i rappresentanti del governo. Tra i tanti slogan, “la Fornero al cimitero”. Un manifestante ha accennato ad una protesta Full Monty: in mutande ha urlato “é così che il governo ci vuole”. Poi il corteo ha improvvisato un trenino e azzardato una sorta di smaltimento rifiuti, quelli prodotti dalla manifestazione bruciati in un falò. E dopo la giornata di oggi la protesta si annuncia ancora più pesante. La loro dichiarazione è di tre parole “disposti a tutto”, si legge sulle maglie-grido. “Perché abbiamo tutto da perdere”, chiosano gli operai lasciando la piazza.