Ha fatto un’affermazione “politica” il pm di Palermo Antonio Ingroia invitando i cittadini a cambiare la classe dirigente; e così si è esposto al rischio di “appannare” la sua immagine di imparzialità. E ha sbagliato un’altra volta, insieme al collega Nino Di Matteo, nel rimanere in silenzio di fronte alle critiche pesanti rivolte da Marco Travaglio al capo dello Stato e a qualche “vergogna” pronunciato dalla platea. La bacchettata al pm simbolo dell’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia – che a stretto giro replicherà rivendicando la sua analisi “storica e sociologica” del fenomeno mafioso – arriva dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli, e si fonda sui resoconti dei giornali, che hanno riferito anche del tifo da stadio ricevuto dai due pm alla festa del Fatto quotidiano.

“Tutti i magistrati, e soprattutto quelli che svolgono indagini delicatissime – dice all’ANSA – devono astenersi da comportamenti che possono offuscare la loro immagine di imparzialità, cioé da comportamenti politici”. E con il suo invito a cambiare la classe dirigente del Paese, “Ingroia, si è spinto a fare un’affermazione che ha oggettivamente un contenuto politico, prestandosi a equivoci che rischiano di appannare l’immagine di imparzialita”. “Soprattutto i magistrati titolari di inchieste che si prestano a strumentalizzazioni devono stare molto attenti – insiste il leader del sindacato delle toghe – a evitare sovraesposizioni e a non mostrarsi sensibili al consenso della piazza”. Perché il consenso “é fondamento della politica e invece la legittimazione della magistratura si fonda sulla fiducia. E un magistrato è credibile in quanto è riconosciuto indipendente, imparziale e professionale.” Ma non è tutto. E’ stato anche un errore assistere in silenzio alla “manifestazione plateale di dissenso nei confronti del capo dello Stato”: “in una situazione così un magistrato deve dissociarsi e allontanarsi”. Sabelli contesta anche che ci sia stato, come lamentato da Di Matteo, un “silenzio assordante” dell’Anm di fronte agli attacchi ricevuti dalla procura di Palermo, soprattutto per la vicenda delle intercettazioni del capo dello Stato: “l’Anm tutta, la giunta e io ripetutamente abbiamo manifestato solidarietà; una solidarietà che riguarda l’esercizio delle funzioni giudiziarie ed è a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza; non capisco come si possa parlare di mancato sostegno”. Da Ingroia, che viene difeso dall’Associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili (le sue affermazioni non sono una “bestemmia”), non arriva nessun passo indietro: “rivendico la mia analisi storica e sociologica del fenomeno mafioso. Il collega Sabelli non conosce il contenuto della mia intervista e si è fidato di una frase estrapolata”, ha detto. “Io ho fatto un intervento – ha spiegato Ingroia – sul rapporto tra potere mafioso e politica e ho parlato di un certo modo di essere della classe dirigente che, invece di attuare una politica di annullamento, ha attuato una politica di contenimento della mafia e ho detto che per recidere i legami tra Cosa nostra e certa classe politica occorre rinnovare la classe politica. La mia era una valutazione storica e sociologica, che rivendico”. Quanto alle critiche sulla mancata presa di distanza dal palese dissenso mostrato, ieri, nei confronti del capo dello Stato, Ingroia ha risposto: “in un dibattito ognuno si assume la responsabilità personale delle proprie opinioni. Se si partecipa a un dibattito a più voci ciascuno dice quello che pensa e ne risponde”. Sulla polemica interviene Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori del Pdl, che ironizza: “é davvero commovente la rapidità con cui il presidente dell’Anm ha censurato le esternazioni politiche di Ingroia. Probabilmente nei mesi e negli anni precedenti è stato lontano dal nostro Paese”.

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