I licenziamenti di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli “rappresentano nulla piu’ che misure adottate per liberarsi di sindacalisti che avevano assunto posizioni di forte antagonismo, con conseguente, immediato pregiudizio per l’azione e la liberta’ sindacale”. Lo sostengono i giudici della Corte d’Appello di Potenza che alcune settimane fa ha riportato in fabbrica i tre lavoratori Fiat-Sata di Melfi, licenziati nell’estate 2010 per aver bloccato le linee durante un’assemblea sindacale.Il collegio giudicante non ha ritenuto per i tre lavoratori “significativi addebiti rispetto ad altri manifestanti.

La notte del 6 luglio 2010, secondo i giudici, Lamorte e Barozzino (sindacalisti Fiom) difesero il collega Pignatelli dal richiamo di un gestore operativo. Ne nacque uno scambio verbale acceso, ma “non una condotta illegittima”. I giudici Pio Perrone, Maura Stassano e Caterina Marotta non hanno ravvisato “volonta’ diretta deliberatamente ad impedire l’attivita’ produttiva”. E’ accertato che, quella notte le linee di assemblaggio erano state fermate e, dopo una riorganizzazione di circa 15 minuti, la produzione era ripresa. In sostanza Lamorte, Barozzino e Pignatelli non avrebbero bloccato deliberatamente le linee. Tanto e’ che “gli scioperanti sono arrivati sul luogo dove si sono verificati i fatti per cui e’ causa, quando il convoglio presente sulla pista era fermo”. I fatti sono stati ricostruiti dai giudici in base alle testimonianze di diversi presenti, il licenziamento dei tre dipendenti, dunque, sarebbe stato un comportamento antisindacale da parte della casa automobilistica, che avrebbe dovuto reintegrare al lavoro i 3 operai. Cosi’ non e’ stato perche’ dal 23 febbraio scorso, Barozzini, Pignatelli e Lamorte ricevono lo stipendio ma e’ stato vietato loro di varcare i cancelli dello stabilimento di San Nicola di Melfi, in attesa del pronunciamento della Cassazione.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui