Le violenze della polizia “sadica e cinica” e gli immotivati arresti di massa dei no-global inerti e innocenti, durante la sanguinosa irruzione nella scuola ‘Diaz’ di Genova, al termine del G8 del 2001, hanno “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”. A dirlo è la Cassazione nella maxisentenza di 186 pagine che contiene le motivazioni in base alle quali, lo scorso luglio, sono state confermate le condanne per le calunnie e i falsi verbali scritti e firmati dai dirigenti della polizia per giustificare il “massacro” costruendo prove false ai danni dei 93 arrestati, 87 dei quali feriti.

Tra loro molti stranieri. Alcuni vivi per miracolo. Antefatto di una simile operazione – spiega la Suprema Corte – è stata “l’esortazione rivolta dal capo della polizia (a seguito dei gravissimi episodi di devastazione e saccheggio cui la città di Genova era stata sottoposta) ad eseguire arresti, anche per riscattare l’immagine della Polizia dalle accuse di inerzia”. Un ‘invito’, quello di Gianni De Gennaro – ora sottosegretario alla sicurezza del governo Monti – “che ha finito con l’avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito della perquisizione stessa”, condotta con “caratteristiche denotanti un assetto militare”. Per questo Vittorio Agnoletto, all’epoca portavoce del Genova social forum, ne chiede le dimissioni e sostiene che “è impensabile che il capo della Polizia abbia potuto dare ordini senza consultare o almeno informare i responsabili politici: l’allora presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro dell’Interno Scajola”. Alla Diaz, nonostante le “mistificazioni” della polizia, di armi non ce ne erano e nemmeno black-bloc, e i supremi giudici citano una perizia del Ris di Parma che mostra filmati nei quali non compare alcuna forma di resistenza da parte dei no-global. L’unico dirigente della polizia al quale sono state concesse le attenuanti è Michelangelo Fournier che, dopo il pestaggio, aveva espresso a Vincenzo Canterini – il capo del reparto mobile che entrò per primo, senza regole di ingaggio e senza compiti e limiti prefissati – “la volontà di non lavorare più ‘con questi macellai qui'”. “L’entità delle violenze gli era risultata, alla fine, ripugnante”, annota la Cassazione che non manca di rilevare come alcun “rammarico” sia mai stato espresso, invece, dagli altri coimputati. Tutti hanno dovuto lasciare il servizio e ora sono in attesa di sapere se verrà accolta, dal tribunale di sorveglianza di Genova, la loro richiesta di scontare la pena in affidamento ai servizi sociali. Adesso c’è solo l’ok della Procura generale, ha spiegato l’avvocato Valerio Corini. Per quanto riguarda i big della polizia, decapitati dal verdetto, la Cassazione chiarisce che la loro responsabilità non è stata affermata in base alla semplice funzione di comando e al teorema ‘non potevano non sapere’, ma in forza di “elementi concreti e precisi”. Gilberto Caldarozzi, Francesco Gratteri e Giovanni Luperi era presenti alla Diaz mentre le violenze erano ancora in corso sotto ai loro occhi. Sapevano che non c’erano le molotov e parteciparono ai “conciliaboli” per appiopparne il possesso ai no-global. Chiesero ai capisquadra di scrivere i verbali falsi dai quali uscisse “legittimato” quello “sproporzionato uso della forza” e la documentazione sugli agenti feriti. Ma non era vero nulla: la sentenza ricorda che fu la polizia a lacerarsi qualche giubbotto, “distendendolo apposta sulle cattedre”, e a realizzare la “messinscena” del finto accoltellamento di un agente. Gratteri e Caldarozzi videro a terra il corpo esanime del reporter inglese Mark Covell – che ha raggiunto con il Viminale un accordo per essere risarcito – e non fecero nulla. O meglio: Calderozzi disse a un ufficiale dei carabinieri, preoccupato, di lasciar perdere.

 

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