La Corte Costituzionale non boccia la fecondazione assistita eterologa, ma rinvia gli atti ai tribunali che avevano promosso i ricorsi. L’indicazione della Consulta è di valutare la questione

alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 3 novembre 2011. Quest’ultima aveva stabilito che impedire per legge alle coppie sterili di ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa non è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Insomma i singoli tribunali dovranno decidere ancora ma nel frattempo resta in vigore il divieto della tecnica eterologa. Il pronunciamento della Corte Costituzionale arriva nel pomeriggio: i giudici della Consulta erano chiamati a decidere appunto sulla costituzionalità degli articoli della legge 40/2004 che riguardano la fecondazione assistita, che prevedono il divieto di fecondazione eterologa, ossia con ovociti o gameti non appartenenti alla coppia, sulla base di tre ordinanze di rinvio dei tribunali civili di Milano, Firenze e Catania. La decisione apre immediatamente il dibattito. Secondo l’ex sottosegretario alla salute Eugenia Roccella, “la questione della legittimità del divieto di fecondazione eterologa, anche se non lo è formalmente, è nella sostanza chiusa”. Di parere diverso gli avvocati delle coppie promotrici dei ricorsi contro il divieto di fecondazione. Infatti, con la decisione di rinviare gli atti, come rileva l’avvocato Filomena Gallo, legale della coppia il cui ricorso ha dato l’avvio all’iter istituzionale che ha portato al pronunciamento della Consulta, la Corte ha espresso una posizione “interlocutoria”, lasciando la possibilità ai magistrati che hanno sollevato dichiarazione di incostituzionalità di riformulare il quesito, non avendo però come parametro la sentenza della Corte Ue per i diritti dell’uomo che aveva legittimato il ‘no’ all’eterologa. Anche secondo l’avvocato Marilisa D’Amico, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Milano e legale di alcune coppie, quella della Corte è una “decisione interlocutoria, coi cui la Consulta dà spazio ai giudici che poi torneranno di fronte alla Corte stessa. Sono contenta – ha commentato – che la Corte non abbia chiuso la questione, ma l’abbia lasciata aperta e sono fiduciosa che tornerà ad affrontarla quando tra un anno, un anno e mezzo, i Tribunali gliela riproporranno”. Una decisione comunque sofferta quella dei giudizi della Consulta che, secondo quanto si apprende, si sarebbero in una prima fase divisi tra chi avrebbe optato per una decisione definitiva e chi, invece, propendeva per una ‘sospensione’ della decisione. Decisiva sarebbe stata la mediazione del presidente. Ma se la sentenza della Corte “si inserisce nel solco di equilibrio e di civiltà tracciato dalla Legge 40, e ribadito dalle sentenza della Corte europea” secondo Alfredo Mantovano (Pdl), di segno opposto è il giudizio di Livia Turco (Pd): “Dopo la decisione della Consulta – afferma – è sempre più evidente che il parlamento deve assumersi la responsabilità di rivedere la Legge 40. La politica non può lasciare che il difficile equilibrio di quel testo sia affrontato nei tribunali”.

 

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