Rispondono di concorso nel reato di violenza sessuale i genitori che tollerano e non impediscono che la loro figlia minore di 14 anni conviva stabilmente con un maggiorenne. Lo ha stabilito la Cassazione nel confermare la condanna, inflitta in primo e secondo grado dalla Corte di Roma, a tre anni e quattro mesi di reclusione, nei confronti di due coniugi romani che avevano permesso la convivenza della figlia 13enne con un uomo, considerandola una buona ”sistemazione” per la ragazza.
Da qui la condanna in concorso con l’amante maggiorenne, ”per aver favorito e agevolato i rapporti sessuali tra l’uomo e la figlia minore di anni quattordici”. In Cassazione i genitori avevano ribadito di non essere a conoscenza della relazione della figlia con un maggiorenne e la difesa aveva fatto ricorso sostenendo che le prove sulle quali si erano basati i giudici erano fondate su pettegolezzi degli abitanti del quartiere dove vivevano genitori e figlia. In particolare una testimone aveva anche riferito che, parlando con la madre, le era parso come la stessa incentivasse la relazione considerandola ”una sorta di sistemazione” per la ragazza. Testimonianze non corrette, secondo la difesa, per la quale non era stato considerato che il fratello della minorenne e la stessa ragazzina avessero sostenuto come la relazione si fosse svolta in segreto. Ma la Terza Sezione Penale della Cassazione, sentenza n.33562, ha respinto il ricorso contro la condanna, sottolineando come fossero improponibili le scuse avanzate dai genitori in quanto dalle stesse indagini risultava chiaro come i due ‘amanti’ abitassero da tempo nel palazzo di fronte a quello dove erano alloggiati anche i genitori. Era impossibile, insomma che non se ne accorgessero, visto che i fatti erano noti ”a tutti gli abitanti del palazzo”. Anzi, secondo la Cassazione, i genitori non rispondono del reato ”per non aver impedito l’evento”, come richiesto dalla difesa, ma del piu’ grave ”concorso” nel reato per aver ”favorito e agevolato i rapporti sessuali” della figlia con l’uomo.