Bruno Ferrante gioca le sue carte per far tornare Ilva la capitale dell’acciaio. A quattro mesi dal sequestro, nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale, dell’area a caldo del più grande stabilimento siderurgico d’Europa, i legali dell’azienda sono passati al contrattacco presentando istanza al Tribunale di Taranto per togliere definitivamente i sigilli dagli altiforni.
Una mossa che punta a mantenere in vita il sito industriale che dà lavoro a migliaia di operai, la cui sopravvivenza è legata a doppio filo con la bufera giudiziaria sulle emissioni inquinanti che secondo la Procura ha reso la situazione sanitaria a Taranto estremamente critica. Ma per gli esperti chiamati dall’ex prefetto a motivare l’istanza di dissequestro non ci sono dubbi: non è colpa dell’Ilva se sono aumentate le malattie nel capoluogo pugliese. Insieme alla richiesta, infatti, gli avvocati hanno depositato i commenti alle perizie disposte dal Gip. E dalla documentazione emerge che i livelli di polveri sottili (Pm10) a Taranto non solo sono inferiori rispetto ad altre città italiane ed estere ma, soprattutto, non possono essere considerati responsabili di un presunto incremento delle patologie. Inoltre, “gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori riguardano soggetti con impiego nel settore siderurgico nel periodo che va dal 1974 al 1997, periodo che non riguarda l’attuale proprietà. A tutto ciò va aggiunto – è riportato nelle osservazioni – che la nuova gestione Ilva ha investito pesantemente nel miglioramento della tecnologia degli impianti con oltre 4,3 miliardi di euro, di cui 1,2 per problematiche ambientali”. Per molti tumori, secondo l’azienda, “non sono note correlazioni con l’inquinamento da PM10 (stomaco, prostata, melanomi, ecc.) e per altri (mesoteliomi) l’eccesso deve essere ricercato in esposizioni professionali estranee all’Ilva. Per queste ragioni quindi i legali hanno provveduto a depositare l’istanza di dissequestro, che fa seguito al via libera del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, al progetto per l’applicazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) presentata dall’azienda. In particolare, la richiesta è stata motivata anche col fatto che l’azienda è impossibilitata ad applicare le direttive senza la piena disponibilità degli impianti. Inoltre, senza l’accesso alle aree a caldo non sarebbe praticabile alcun intervento, così come l’accesso a finanziamenti per i lavori da realizzare, visto che nessuna banca è disposta a dare fiducia a una società con gli impianti sotto sequestro. Intanto, il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, parlando del caso Ilva a margine di un’audizione al Senato ha spiegato che sta esaminando “il piano per l’Aia” ma aver già “avuto l’Autorizzazione e l’impegno da parte dell’azienda mi sembrano due passi importanti. Stiamo ancora valutando bene le risposte, sono sempre a disposizione del ministro Clini”, ha concluso. Sempre a Palazzo Madama si è tenuta anche l’audizione del sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, che ha lanciato l’allarme “emergenza sociale” per la città. Nonostante il Comune abbia impegnato “il doppio del welfare della Puglia”, ha detto alla Commissione Lavoro, “non riesce a fare fronte alle tante esigenze che ormai riguardano tutta la popolazione della città a causa della questione Ilva”. Sul fronte sindacale, infine, va segnalato che una cinquantina di lavoratori si sono radunati, muniti di cartelloni, sotto l’Altoforno 5, ritenuto il più inquinante, improvvisando un sit-in di protesta. Nello stabilimento si era diffusa la voce di un possibile sopralluogo da parte dei custodi giudiziari degli impianti sotto sequestro. Rinviato a domani, invece, l’incontro tra azienda e sindacati per discutere i termini della cassa integrazione.