Dalla Cassazione arriva la prima conferma della validità dell’indagine sulle escort a Palazzo Grazioli condotta dalla Procura di Bari in relazione all’accusa di induzione a mentire all’autorità giudiziaria formulata nei confronti dell’ex direttore de L’Avanti Valter Lavitola, recluso nel carcere di Poggioreale dal 16 aprile dopo il suo ritorno dalla latitanza sudamericana. La Sesta sezione penale ha infatti rigettato il ricorso contro la custodia in carcere confermata dal Tribunale del riesame di Bari lo scorso 21 novembre. L’ordine di arresto era stato emesso dal gip il 14 ottobre.

Sulla configurabilità del reato il pm Pasquale Drago, che segue il fascicolo, ha sempre ritenuto che i gravi indizi di colpevolezza a carico di Lavitola non vi fossero, e che gli stessi elementi fossero insussistenti anche per l’ex premier Silvio Berlusconi. Ma nei giorni scorsi la notizia dell’iscrizione del nome del Cavaliere nel registro degli indagati, è trapelata in ambienti giudiziari baresi ed è stata riferita da numerosi media. Berlusconi sarebbe indagato a Bari – sempre secondo le indiscrezioni – per aver istigato, in concorso con Lavitola, Gianpaolo Tarantini a mentire ai pm baresi sulla vicenda delle ragazze portate da quest’ultimo nelle residenze dell’allora presidente del Consiglio. Finora, tuttavia, negli atti in possesso dell’avvocato Gaetano Balice, difensore di Lavitola, non risulta né la proroga delle indagini di Bari, né l’iscrizione di Berlusconi. Tuttavia Balice non incontra Lavitola da mercoledì, e non è escluso che il faccendiere abbia ricevuto nel frattempo – in cella – la notizia della proroga. Domani il legale andrà a Poggioreale. “Aspettiamo di leggere le motivazioni di questa decisione della Cassazione che, nonostante sia negativa, può comunque dare un contributo di chiarezza in relazione alla individuazione dei ruoli e dei protagonisti della vicenda, e dei tempi nella quale si è sviluppata”, ha commentato Balice. La tesi che il legale ha sostenuto in Cassazione è che Lavitola non sapeva che tra Berlusconi e Tarantini esisteva un accordo sul silenzio nella vicenda delle escort. Dunque l’ex faccendiere non sapeva a che titolo venivano dati i soldi a Gianpi. Un punto di vista che non ha fatto breccia in Cassazione. Anche la Procura non ci ha creduto: il sostituto procuratore Luigi Riello aveva chiesto il rigetto del ricorso. Come avvenuto.

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui