Una maxi frode fiscale nel settore hi-tech con un giro di fatture false per 240 milioni di euro e’ stata accertata dalla Guardia di Finanza di Vicenza. L’indagine riguarda tre societa’ vicentine, operanti nel settore del commercio all’ingrosso di componentistica elettronica ed informatica.
Il pm Silvia Golin, ha ottenuto, dal gip del Tribunale vicentino Massimo Gerace, l’emissione di un decreto di sequestro preventivo sino al concorso dell’importo di 17,5 milioni di euro. Sulla base di questo importo le Fiamme Gialle hanno sequestrato oggi tutti i beni riconducibili agli autori della frode. Oltre alle somme liquide depositate su conti legati agli indagati, anche beni mobili e immobili a questi intestati. In particolare sono state sequestrate le abitazioni dei presunti autori, tutti vicentini, della frode carosello all’Iva. Fra queste una lussuosa villa composta da 15 vani con piscina a Monte Berico. Tra gli altri beni sottoposti a sequestro, oltre alle autovetture e agli altri automezzi intestati agli indagati, le quote relative a sei societa’, tre delle quali peraltro coinvolte direttamente nel circuito illegale. L’operazione, denominata ‘Senza Frontiere’ ha permesso di smascherare la frode carosello attuata con l’emissione di false fatture per oltre 240 milioni, con le quali veniva documentata la vendita fittizia di processori a 14 societa’ con sedi in altri Paesi dell’Unione Europea, Olanda, Regno Unito e Lussemburgo, mentre nella realta’ venivano venduti ”sottocosto” a societa’ italiane. Sul fronte interno, sono state individuate 33 imprese nazionali con sede in Vicenza, Milano, Varese, Bologna, Napoli e Caserta, coinvolte a vario titolo nel sistema di frode, mentre 21 persone sono state denunciate per reati fiscali alla Procura berica. La frode nel settore hi-tech e’ stata scoperta grazie anche al sequestro di ‘classiche’ agende cartacee nelle quali l’amministratore della principale societa’ vicentina coinvolta annotava l’intero percorso fittizio dei prodotti con indicazione dei prezzi di acquisto e vendita gia’ stabiliti ‘a tavolino’: una regia comune che gestiva il circuito illegale fra societa’ solo apparentemente estranee l’una all’altra. Inoltre, la merce ceduta solo cartolarmente tra le diverse aziende, molte delle quali senza un minimo di struttura organizzativa, in realta’ raramente si spostava dalle sedi delle societa’ di logistica e trasporti presso cui era depositata. L’interposizione di tali ultime societa’ senza alcun compito concreto serviva solo per rendere piu’ difficile la ricostruzione delle transazioni agli inquirenti.