Il silenzio ha coperto per anni uno strano furto. Tre, quattro, cinque anni o forse più, chissà. Nonostante si tratti di un ammanco clamoroso dai contorni ancora tutti da definire, da capire, da chiarire. Insomma un bel giallo. In Vaticano la storia affiora solo ora e a brandelli, come un relitto spuntato in superficie da chissà quali abissi. Qualcuno, in un periodo ancora da precisare, ha pensato bene di fare sparire dagli archivi della basilica di San Pietro un oggetto singolare, unico, raro. Prezioso, più che per il suo valore commerciale, per la memoria storica della Città del Vaticano e dell’arte mondiale: la lettera olografa di Michelangelo Buonarroti, probabilmente l’unico esemplare conservato al di là del Tevere, che l’architetto e artista toscano scrisse interamente di suo pugno, dall’inizio alla fine. Una vera rarita’, considerando che normalmente «Michelagnolo» apponeva la sua firma nervosa su testi che dettava ai suoi collaboratori.
INDIZI Chi ha messo a segno il colpo non poteva che conoscere molto bene i locali attigui alla basilica in cui sono conservati i documenti dell’edificio, dal 1506 in poi, quando Papa Giulio II creò la Fabbrica per seguire le fasi di cantiere e poi per assicurare la manutenzione del nuovo edificio. Documenti di cantiere, lettere, pergamene, disegni dello stesso Buonarroti e di altri artisti, affreschi, testimonianze di Vasari e di Bramante. Arsenio Lupin sapeva bene come muoversi, dove andare a cercare, come orientarsi. Non è facile. Pochi, infatti, possono avere l’accesso diretto, visto che gli archivi della Fabbrica non sono nemmeno consultabili al pubblico. L’ammanco a lungo andare non poteva passare inosservato, non fosse altro perché un bel giorno alla porta del cardinale Angelo Comastri, arciprete della basilica, ha bussato un giovane ex dipendente vaticano che in passato aveva prestato servizio proprio alla Fabbrica di San Pietro. Chiedeva di essere ricevuto.