L’omicidio di Simonetta Cesaroni rischia di restare un mistero ancora per lungo tempo. La corte di assise di appello di Roma, al termine di poco piu’ di due ore di camera di consiglio, ha deciso che non e’ Raniero Busco, ex fidanzato della vittima, l’autore di quell’efferato delitto, avvenuto il pomeriggio del 7 agosto del ’90 negli ufficio dell’Associazione italiana alberghi della gioventu’ in via Poma 2.
Come ha detto l’avvocato Franco Coppi, nel suo appassionato intervento, “il mostro” che ha osato sferrare 29 colpi di coltello su quella ragazza, tramortita da un ceffone preso in pieno volto, e’ qualcun altro, non certo il 47enne operaio in servizio all’aeroporto di Fiumicino, papa’ di due gemelli di 11, che ha saputo affrontare due anni da incubo anche grazie alla tenacia e alla forza della moglie Roberta Milletari’ e al calore di un gruppo di amici da sempre convinti della sua innocenza. Lo dimostrano le esultanze da stadio che hanno accompagnato prima l’annuncio dell’assoluzione da parte del presidente Mario Lucio D’Andria e poi la formula “per non aver commesso il fatto”. Busco, scoppiato a piangere di gioia, e’ stato travolto dall’abbraccio del fratello e della consorte e poi trascinato in una stanzetta, lontana dall’aula, per sfuggire all’assalto di fotografi, operatori tv e giornalisti. I difensori di parte civile sono rimasti di stucco mentre il sostituto procuratore generale Alberto Cozzella l’ha presa con filosofia (“La sentenza va accettata e rispettata. Vedremo le motivazioni”), anche se per il rappresentante della pubblica accusa l’assassino c’era ed era seduto al banco degli imputati. Fra novanta giorni si conosceranno le ragioni che hanno spinto la corte ad assolvere Busco, ma sulle valutazioni di togati e popolari avra’ avuto di sicuro un impatto decisivo la superperizia che ha messo in dubbio i risultati della consulenza della procura pienamente recepita dai giudici di primo grado. “L’assassino c’e’ ma non e’ Busco” ha ripetuto l’avvocato Coppi secondo cui il suo assistito non aveva alcun ragione per liberarsi con tanta efferatezza di una ragazza che gli dava quello che lui cercava: il sesso. Accusa e parte civile hanno provato a giocare la carta della personalita’ violenta dell’imputato, capace, a loro dire, di aggredire gli anziani vicini di casa o di scagliarsi contro la cognata o di coinvolgere nel delitto alcuni amici della comitiva di cui faceva parte anche Simonetta. “Mi domando come una ragazza di animo cosi’ sensibile come la Cesaroni – aveva ragionato Cozzella – abbia potuto frequentare uno che definisce normali i rapporti segnati dalla violenza”. Per accusa e parte civile l’assenza di alibi, il dna su corpetto e reggiseno della vittima e, infine, il morso inferto sul capezzolo sinistro di Simonetta erano elementi piu’ che sufficienti per pronunciarsi sulla colpevolezza dell’ex fidanzato. La perizia ha mandato tutto all’aria e per Coppi, che ha difeso Busco, assieme al difensore ‘storico’ Paolo Loria, e’ stato agevole lavorare sulle smagliature della sentenza di primo grado e rovesciare l’impianto accusatorio che sembrava granitico. Adesso, a quasi 22 anni dal delitto, il caso Cesaroni rischia di rimanere aperto per sempre. Difficilmente la procura, che aveva puntato tutto su Busco, avra’ voglia e tempo per sviluppare e seguire piste alternative.